L'Inter non ha veri punti deboli (sulla carta)
Secondo la definizione del dizionario Treccani, "l'intensità è il grado di forza o la violenza con cui si produce o manifesta un fenomeno". Ripetendo più volte questo termine in conferenza stampa, Simone Inzaghi ha inquadrato la ripresa devastante della sua Inter contro il Benfica, spazzato via sul piano del ritmo dopo un primo tempo in cui aveva tenuto il campo senza particolari affanni. Cosa sia successo all’intervallo, a parte il fatto che sul piano tattico i nerazzurri abbiano deciso di prendere alto l'avversario andando uomo contro uomo, come svelato da Lautaro Martinez a UEFA.com, non è dato saperlo. E non pensiamo neanche che in 15’ possa essere scattata chissà quale magia negli spogliatoi durante l'intervallo. Semplicemente, la gara di San Siro ha vissuto di episodi che hanno determinato la direzione della stessa. E in Champions League, si sa, i dettagli contano ancora di più rispetto alle altre competizioni. Per esempio, vedendo i primi minuti della sfida, sembrava di assistere a un déjà vu del derby di Milano stravinto contro il Milan lo scorso 16 settembre. I portoghesi, schierati col 4-2-3-1, cercano di entrare in partita con un possesso palla prolungato, poi al 4' rischiano di andare sotto sul primo affondo di Denzel Dumfries che sul secondo palo non trova Henrikh Mkhitaryan, l'uomo che sbloccò proprio la stracittadina. Il copione non cambia: l’olandese è ancora protagonista mandando a lato un cross telecomandato di Hakan Calhanoglu, poi è l’armeno a sbagliare in conduzione la ripartenza che avrebbe trovato impreparate le Aguias. Niente gol, nonostante la robusta produzione offensiva, per essere una gara europea, contro dei campioni nazionali. Che fanno vedere di aver studiato tutte le scaltrezze del caso per mettere in difficoltà il 5-3-2 in fase passiva degli avversari: al 13', raccogliendo una rimessa laterale battuta a sorpresa come se fosse uno schema preso in prestito dal basket, Fredrik Aursnes si trova libero di calciare verso la porta di Yann Sommer. Che, memore dell’errore sul tiro di Nedim Bajrami, prepara meglio i guantoni e compie una parata che è più difficile di quello che sembra. Una 'disattenzione incredibile' la definirà Inzaghi in conferenza stampa dopo la partita. Nell’unico appunto fatto ai suoi ragazzi, oltre a quello evidente a tutti: non si può chiudere 1-0 una partita dopo aver creato quella mole di gioco. Sia per le coronarie dei tifosi, ma anche per la gestione dei vari impegni che affollano il calendario: “In Champions può contare anche lo scarto di gol nello scontro diretto. Avendo visto la partita, c'è un pizzico di rammarico”, ha ammesso l’ex Lazio.
Andando oltre il risultato, che comunque ha fruttato tre punti di platino in chiave qualificazione agli ottavi, l’analisi dei rischi corsi dall’Inter in 90 e passa minuti è presto fatta: oltre all’occasione citata poche righe sopra, gli unici brividi sono arrivati da una giocata del singolo (traversa alta colpita da Angel Di Maria nel tentativo di segnare un gol Olimpico da corner) e da un contropiede preso da una punizione a favore, conclusosi con la rimonta difensiva di Nicolò Barella su Neres. Episodio arbitrale al quale ha provato ad aggrapparsi Roger Schmidt nel dopo gara, dopo aver comunque riconosciuto i meriti dell’Inter: "Complimenti all'Inter, hanno meritato la vittoria. Hanno creato di più. Nel primo tempo abbiamo fatto una buona gara, c'era un rigore chiaro per un fallo di Barella su Neres. Poi è cambiato tutto, può succedere quando giochi contro l'Inter. Abbiamo perso tanti palloni, ma alla fine siamo rimasti in gara solo grazie al portiere. Dobbiamo accettare questa sconfitta".
Disamina condivisibile al 90%, sulla situazione da penalty si può serenamente dissentire. Ma il discorso fila: il Benfica, sapendo di essere inferiore all’Inter, ha cercato dentro la partita la situazione estemporanea per cambiare un finale comunque già scritto. L'unica differenza rispetto al derby è che è arrivato solo dopo il triplice fischio, anche se nessuno degli spettatori allo stadio ha mai dubitato dell’epilogo. La prova è arrivata qualche secondo prima dell’1-0 di Marcus Thuram, quando i presenti, anziché scoraggiarsi di fronte agli errori sotto porta dei loro beniamini, hanno letteralmente spinto la squadra a suon di cori e giochi di luci oltre un Anatolij Trubin monumentale, ai difetti di mira e alla sfortuna. Un gol fatto da San Siro, ‘l’uomo in più’, come fatto giustamente notare da capitan Lautaro a fine partita. Il Toro, premiato MVP dalla UEFA nonostante i tanti gol sbagliati, è il vero volto di questa Inter che per vincere deve sempre faticare il doppio del consentito. Un’Inter che non si accontenta mai dell'1-0, che al massimo qualche volta prova a gestire il minimo vantaggio semplicemente perché ha sprecato troppo e speso molto nelle gare precedenti. Questo l’unico, vero punto debole di questa squadra. Al contrario di quello che aveva sostenuto l'allenatore del Benfica alla vigilia presentando l'avversario: "Sulla carta, l'Inter non ha veri punti deboli".