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L'Inter rompiscatole di Antonio Conte

di Maurizio Pizzoferrato

“Porca troia. È la vita”. Parole e musica di Antonio Conte nel finale concitato di Inter-Sampdoria, quando la Beneamata si era avvitata su se stessa richiando di buttare nel cesso una gara stradominata per almeno un'ora. L'Inter è viva e lotta insieme a noi, lo aveva già fatto vedere a Napoli dove solo una “colpevole” sfortuna e le parate di Ospina le avevano impedito di staccare il biglietto per la finale di Coppa Italia. Sfortuna “colpevole” però, perché quando ha il bersaglio ben chiaro nel mirino, devi completare l'opera, vincendo le partite che meriti di vincere per il gioco espresso e per la superiorità mostrata, come nel giorno del ritorno al calcio al San Paolo.

Si è tornati in campo dopo più di tre mesi di stop, i bene informati indicano l'Inter come tra i club che non abbiano accompagnato con particolare entusiasmo gli sforzi del presidente federale Gabriele Gravina per portare a termine il campionato con la forzatura di dover giocare ogni tre giorni fino a estate inoltrata. Ma una volta che il pallone è tornato a rotolare, Antonio Conte è tornato a martellare. Con una importante novità verbale, a parte la colorita espressione riportata in apertura di editoriale.

Il tecnico nerazzurro non parla più, o ne parla con meno enfasi, di processo di crescita e step da compiere, ma dice senza mezzi termini che 6 punti dalla vetta a 12 gare dalla fine non rappresentino una distanza insormontabile e che la sua Inter debba provare a rompere le scatole al duo di testa formato da Juventus e Lazio. Parole ripetute ieri al canale tematico del club alla viglia dell'impegno con il Sassuolo. Le scialbe prove della Juventus con Milan e Napoli avevano alimentato il bellicoso piano scudetto di Conte, ma la vittoria, seppur senza entusiasmare, dei bianconeri a Bologna, ha probabilmente fatto capire al tecnico che, al netto dei presunti errori di Sarri, se Dybala torna a metterla all'incrocio e Cristiano Ronaldo torna a segnare i rigori, la strada verso l'agognato traguardo si impenna sempre più. Siamo curiosi di vedere come la Lazio reagirà questa sera a Bergamo contro un'Atalanta che, pur concedendo qualche occasione di troppo, ha triturato il Sassuolo alla sua maniera.

Quel Sassuolo che alle 19.30 scende in campo al Meazza contro l'Inter in questa porzione anomala di campionato dove non fai in tempo a commentare l'esito di una gara, che già ne inizia un'altra. Probabilmente non assisteremo ad un massiccio turn-over nella formazione nerazzurra, a centrocampo saranno ancora indisponibili Brozovic e Sensi, vedremo se Conte riuscirà a recuperare un elemento duttile come Vecino alle prese da troppo tempo con un problema ad un ginocchio.

Ci si attende la conferma dal primo minuto di Christian Eriksen nella posizione di trequartista dietro le due punte. Una posizione che appare finalmente l'abito ideale con cui vestire questo campione danese che accarezza il pallone come pochi, che contro la Samp ha regalato un cioccolatino solo da scartare in occasione del gol di Lukaku e che ha convinto Conte a passare al 3- 4-1-2 per esaltarne le caratteristiche. Ma Eriksen può fare di più, può essere ancora più incisivo in zona gol e aumentare durante la gara le giocate che fanno la differenza rendendo la manovra dell'Inter meno prevedibile. In queste partite a distanza ravvicinata, dove l'intensità contiana non potrà essere esibita sempre e comunque, la giocata di classe, il guizzo, la pennellata, potrebbero rappresentare la differenza in grado di permettere ai nerazzurri di provarci.

Antonio Conte però non molla l'osso e chiede che la squadra giochi fino alla fine ogni gara, come se fosse quella della vita. Più facile a dirsi, visto che lo stadio vuoto priva i protagonisti di quell'incitamento che, in casa Inter, prima della comparsa di questo maledetto virus, aveva rappresentato un fattore. Ma alibi e scuse sono pane quotidiano dei perdenti. Non possono esserlo per questa Inter allenata da un tecnico che, almeno in campo nazionale, ha fatto finora della vittoria il suo marchio di fabbrica. Si è tornati in campo, si gioca sempre, si cammina sul cornicione. Il gioco si fa duro, quindi. E allora, i duri cominciano a giocare.


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