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L'ossessione di Arrigo Sacchi

di Alessandro Cavasinni

"Oggi Ventura è anche sfortunato, non ha più un blocco di giocatori perché l'Italia è piena di stranieri. Squadre importanti come l'Inter sono piene di stranieri". Così parlò Arrigo Sacchi alla Domenica Sportiva, commentando il netto ko dell'Italia al Bernabeu. Immancabile la stilettata all'Inter, indicata dall'ex ct come icona di esterofilia.

Premesso che i club non hanno alcun obbligo verso le selezioni nazionali e che devono pensare esclusivamente a se stessi, va ricordato al buon Arrigo che stavolta nemmeno i numeri gli danno ragione. Scorrendo l'elenco dei convocati di Ventura per gli impegni con Spagna e Israele, infatti, ci si accorge che i nerazzurri in lista sono tre (D'Ambrosio, Eder e Candreva): gli stessi della Roma (De Rossi, Pellegrini, El Shaarawy), due in meno della Juventus (Buffon, Rugani, Chiellini, Barzagli, Bernardeschi), appena un in meno del Milan (Donnarumma, Bonucci, Conti, Montolivo), uno in più della Lazio (Immobile, Parolo) e due in più del Napoli (Insigne). Senza dimenticare Gagliardini, lasciato fuori per una condizione fisica ancora non al massimo (così come vanno sottolineati i forfait di Marchisio, Romagnoli, Bonaventura, Emerson Palmieri e Florenzi).

Insomma, a guardar bene, l'Inter è già da un po' che fornisce alla nazionale italiana un numero tutto sommato discreto di rappresentanti. Di certo, non si può più prendere il club nerazzurro come paradigma di esterofilia, specie se ci si sofferma sul lavoro enorme che si svolge da anni e anni nel settore giovanile.

Sacchi prosegue nel luogo comune parlando dell'Inter, ma non solo. La scuola spagnola viene descritta dall'ex tecnico del Milan come l'Eldorado, la luce divina, la verità assoluta del football. "Il nostro è un Paese conservatore che nel gioco, in generale, ha conosciuto scarsi sviluppi e novità – ha scritto sulla Gazzetta dello Sport –. Il calcio spagnolo ha sempre cercato la perfezione che, essendo irraggiungibile, obbliga a didattica e miglioramenti continui, mentre noi in generale abbiamo soltanto cercato di sopravvivere rifugiandoci nel tatticismo, nelle difese a oltranza e nel contropiede. Prima cosa non prenderle, poi si vedrà. Il calcio è bellezza, emozione, spettacolo, coraggio e richiede un’evoluzione continua, come la vita. Pertanto, non si condanni Ventura che desidera vincere con merito e da protagonista: è l’unico modo per uscire dall’oscurantismo".

Italiani brutti, sporchi e cattivi; spagnoli belli, solari e contenti. Una visone della realtà piuttosto banale e superficiale, che fa torto ai grandissimi talenti che per anni hanno vestito e dato lustro alla maglia azzurra, nonché ai nostrani strateghi sopraffini della panchina. Il calcio spagnolo domina? Quale calcio in particolare? Perché a vedere bene le fortune recenti di Barça e Real sono state costruite anche (se non soprattutto) su talenti non indigeni: Cristiano Ronaldo, Bale, Modric, Benzema, Kroos da una parte; Messi, Suarez, Neymar, Rakitic dall'altra. A parte Iniesta e Busquets, quelli che fanno gioco nelle merengues e nei blaugrana sono altri. Isco è stato sdoganato da Zidane solo dopo il ko di Bale, mentre Asensio resta ancora un lusso da centellinare. Sulla sponda catalana, invece, è evidente come il ciclo glorioso sia ormai ai titoli di coda e il ricambio generazionale stenta nonostante un sistema di gioco pressoché sempre uguale. E allora siamo sicuri che la differenza al Bernabeu tra Italia e Spagna sia stata solcata dal gap filosofico tra i due Paesi come sentenzia Sacchi?

L'ostracismo di Sacchi verso quello che lui definisce "tatticisimo italiano" fa sorridere. Lui che in nome dell'equilibrio sacrificava sulla fascia – con modesti risultati – gente come Del Piero, Zola e Signori (quando non li confinava in panchina...). Oscurantismo? La scuola italiana ha vinto prima di Sacchi, durante Sacchi e dopo Sacchi. Questo disprezzare continuamente idee di calcio diverse dalla sua mette in luce una grossa presunzione. E si ha come l'impressione che Arrigo intenda sfruttare determinate situazioni per riconfermare il suo punto di vista, ergendosi a padrone del sapere calcistico. Una sorta di ossessione nel riaffermare il proprio posto nel mondo del calcio. Un grosso limite per uno che viene definito maestro.


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