L'unico obbligo è crederci. Poi deciderà il campo
Antonio Conte sorride quando gli si fa notare come l'Inter, dopo la prematura, e per certi versi deprimente eliminazione dalla Champions League, ora abbia l'obbligo di vincere lo scudetto. Sorride sornione perché sa come l'assunto tenda a investire direttamente la sua persona. Conte allenatore è uomo-scudetto per antonomasia, Suning ha investito sul tecnico salentino proprio per tornare a vincere, quindi è facile per tifosi e addetti ai lavori arrivare ad una conclusione che sembra ovvia. Ma lui sorride, perché sa che nel calcio di obbligatorio non può esserci nulla e che uno scudetto si vince solo dimostrando di essere migliori degli altri, partita dopo partita, fino al traguardo finale.
Negli ultimi otto anni le squadre di Conte hanno vinto tre scudetti in Italia e uno in Inghilterra. E il tecnico, nel giorno del suo insediamento all'Inter ha detto che, per accettare un incarico, debba percepire di avere almeno l'1% di possibilità di vittoria. E su quella percentuale inizia poi il lavoro per arrivare a dama. Al suo primo anno in nerazzurro Conte non ha vinto. Ma ha gettato le basi per farlo, portando l'Inter al secondo posto a un punto dalla prima, in semifinale di Coppa Italia, in finale di Europa League, purtroppo persa contro un Siviglia battibile. È stata comunque la migliore stagione nerazzurra dopo nove anni, eravamo nel 2011 quando la Beneamata targata Leonardo conquistò la Coppa Italia battendo il Palermo nella finale dell'Olimpico.
Un percorso che avrebbe dovuto rasserenare gli animi, ma Conte, polemizzando la scorsa estate in maniera plateale con la società per i motivi che conosciamo, ha invece (colpevolmente) alimentato un clima da battaglia tra gli stessi tifosi dell'Inter che, sui famigerati social, passano gran parte delle loro giornate a disquisire sull'allenatore sui cui, peraltro, continua a gravare il seguente peccato originale: essere stato un emblema, prima da capitano e poi da allenatore, dell' “odiata” Juventus. Ecco da dove deriva l'obbligo per molti: vincere con l'Inter per farsi perdonare il passato che non piace. Follia. Meglio parlare di campo e in questa ottica brucia come non mai la terza uscita consecutiva ai gironi dall'Europa che conta.
Mercoledì scorso hanno sbagliato tutti. Ha sbagliato il tecnico, durante e dopo la gara, hanno sbagliato i giocatori, incapaci di buttare almeno una volta il pallone dentro la porta avversaria. Ma è anche vero che in Europa, senza la necessaria qualità, si faccia fatica. Contro lo Shakhtar chiuso a riccio per difendere la presenza in Europa League, piuttosto che osare per tentare di agguantare gli ottavi di Champions, serviva il dribbling, la giocata, il tiro da fuori. E non solo lo schema codificato che non produce nulla se i migliori interpreti dell'attacco non sono in serata. Temi su cui discutere senza che il tecnico pensi di parlare del nulla. Poi, però, fortunatamente arriva il campionato e a Cagliari, pur con le solite ataviche sofferenze, l'Inter di Antonio Conte ha sfoderato la prestazione condita da tre punti di straordinaria importanza, proprio perchè arrivati subito dopo la debacle europea.
L'Inter è seconda a soli tre punti dal celebrato Milan. La differenza la detta il derby vinto dai rossoneri e non è cosa da poco. Ma l'Inter è lì, reduce da quattro vittorie consecutive in campionato ed è vogliosa di continuare la marcia. Questa sera a Milano arriva il Napoli di Gattuso. Una grande squadra, piena di talento, con una classifica condizionata dalla non disputa della gara con la Juventus a inizio torneo. Non sarà un match che deciderà lo scudetto, siamo solo alla dodicesima giornata, ma sarà una notte che dirà molte cose. L'Inter deve iniziare a vincere gli scontri diretti, per la classifica e per aumentare l'autostima.
Conte deve confermare di essere un grande allenatore, come dicono i numeri della sua ancora giovane carriera. A Cagliari non ha sbagliato nulla. Ha presentato in campo una squadra, si abbattuta per quanto successo in Coppa, ma desiderosa di tornare subito a battagliare. Nella porzione finale di gara il tecnico è poi sceso virtualmente in campo azzeccando alla perfezione sostituzioni e cambio di modulo. E l'Inter ha vinto. Non per obbligo, ma per conseguenza di quanto si è visto in campo.
Sarà una lunga stagione, purtroppo priva della cilegina che si chiama Europa. Ma la torta nostrana è buona, ha gli ingredienti giusti e va gustata. Senza obblighi. Ma per il piacere e il dovere, quello sì, di provarci.