La gioia lasci spazio alla rabbia. Guai ad abituarsi a finali per il terzo posto
In fase di preparazione di Inter-Juventus si parlava di questa gara come l’occasione adatta per i nerazzurri per mostrare il proprio carattere. In effetti così è stato, perché si è vista la voglia di questo gruppo di mettere a tacere le critiche tirando fuori gli attributi. Adesso bisogna stare attenti a non adagiarsi su questa reazione, convincendosi che bastino solo 90 minuti più i supplementari per far ritrovare una squadra che in questo 2016 poteva essere tranquillamente ricercata dai propri tifosi attraverso “Chi l’ha Visto?”. Non si tratta di essere Bastian contrari, o perennemente insoddisfatti, ma la gara di Coppa Italia ha avuto un’evoluzione tale per una serie di motivi che esulano dalla formazione schierata in campo da Mancini, a cui poi arriveremo perché anche lì c’è più di qualcosa da dire: se l’Inter riesce ad arrivare al 2-0 dopo meno di 50 minuti non è solo per la grinta e la garra di chi è sceso in campo, ma anche 'grazie' a Massimiliano Allegri.
Per parlare della partita non si può non partire dalla scelta del tecnico livornese di cambiare il modulo (l’unico che porta risultati alla Juventus, è bene ricordarlo sempre) per affidarsi ad una difesa a 4 che nel campionato gli ha portato 12 punti in 10 partite. Se a questo si aggiunge il turnover esasperato la frittata è fatta: Allegri ha considerato questa gara, forte del 3-0 dell’andata, come un allenamento per mettere a punto i movimenti della difesa diversa e per dare minuti a chi ha giocato scampoli di questo campionato, come se l’Inter fosse l’ultima squadra arrivata sul pianeta Calcio. Ma il tutto gli si è rivoltato contro al punto che per porre rimedio ha dovuto inserire sotto il diluvio Barzagli, per fare da tutor al giovane Rugani (per il bene della Nazionale italiana è meglio se questo non sia il suo reale valore) e dare manforte a un Bonucci visibilmente spaesato, e Pogba. Vale a dire due dei cinque titolari portati in panchina e che possono consentire di tornare “al modulo”. Ovviamente la grinta dell’Inter è stata fondamentale per mandare in bambola la Juventus nei tempi regolamentari, ma diciamo chiaramente che Allegri ha deciso di scendere in campo con le gomme slick sotto un diluvio battente e una volta montati i pneumatici da bagnato estremo non si poteva far altro che limitare i danni cercando di portare nel box l'auto senza incorrere in ulteriori danni.
Altro punto focale di questo match, come già anticipato, è la formazione schierata da Mancini: il discorso qui non sta negli uomini proposti, anche perché molte scelte erano obbligate, ma nel perché. L’Inter in quattro partite contro la Juventus non ha mai schierato gli stessi giocatori, ma ormai questo refrain non sorprende nemmeno più. Il problema è che l’unico punto strappato ai bianconeri è stato ottenuto schierandosi con un 4-2-3-1 (solo sulla carta, perché trattasi di un 4-4-1-1 in fase difensiva e un 4-3-3 in fase offensiva) e molto simile, se non per Icardi e Jovetic al posto di Eder e Ljajic. Perché aspettare di prendere 5 gol in due partite per tornare a questo assetto che comunque aveva messo alle strette anche i titolari della Juventus nel match di andata a San Siro? Perché non dare continuità ad un modulo con due esterni veri che possono aiutare la squadra sia in fase di copertura sia in fase di ripartenza? Questi sono i perché che rendono il 3-0 contro la Juve un risultato che lascia un po’ di amaro in bocca, al di là dell'esito dei rigori. Questa mancanza di continuità nel modulo scelto dall’Inter non ha avuto effetti solo nella “never ending story” contro i bianconeri, ma anche sulla seconda parte di campionato quando la squadra, tirato qualche bilancio, avrebbe dovuto proseguire univocamente su una sola strada invece che continuare in questi test che alla lunga affaticano tutti e non portano risultati tangibili.
Il risultato più evidente di questo continuo cambio di uomini e di moduli sono le prestazioni di Ivan Perisic, Geoffrey Kondogbia (mon dieu, è con l’accento finale sulla “a”. Un po' come se Squillaci del Monaco venisse chiamato Schillaci solo perché italiano di origini) e Brozovic. A questo tipo di giocatori serve solamente continuità di gioco e tranquillità: spremerli per 5 partite di fila per poi lasciarli nel dimenticatoio, per poi tirarli nuovamente fuori, serve solamente a dare adito a critiche nei loro confronti. Geoffrey e Ivan sono passati troppo spesso per bidoni sopravvalutati quando la realtà dei fatti è che sono due giocatori che in Italia possono spostare tremendamente gli equilibri, ognuno nel loro modo di giocare: serve solamente continuità.
Se l’Inter ha portato la gara ai rigori mercoledì è stato principalmente per questi motivi e si può ben capire come il rammarico cresca anche in considerazione della gara di andata quando i nerazzurri hanno preferito difendersi piuttosto che attaccare. E’ per questo che, al di là della grinta, al di là di tutto, questa eliminazione fa male perché era l’occasione giusta per dare un segnale fortissimo a tutta la concorrenza: l’Inter, se solo capisse qual è la propria natura, potrebbe intimorire a tutti. E forse è proprio questa paura che si è manifestata nei tifosi bianconeri che adesso vanno in giro esultando e gioendo per come è arrivata questa finale di Coppa Italia. Come se loro avessero perso solamente 1-0 contro un avversario nettamente superiore rimanendo magari in dieci per un’espulsione ingiusta nel primo tempo in uno stadio colmo di 90mila catalani urlanti. E’ proprio vero, se non sei abituato a certe situazioni non ti ci abituerai mai, ed è per questo che l’Inter non deve abituarsi ad affrontare “finali” per arrivare terza in campionato, ma tornare a finali dove, al triplice fischio, si possa alzare un trofeo.