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La regola numero uno del derby d'Italia

di Egle Patanè

Derby d’Italia. Una partita che non necessita presentazione alcuna e che come molti allenatori spesso asseriscono non necessita di discorsi motivazionali e preamboli. Il mordente della partita è la partita stessa, anche quando le premesse sono le più disparate. Anche quando il ‘road to’ è caratterizzato da animi e risultati opposti. L’arrivo delle due squadre a questo derby d’Italia è difatti un taglio del nastro dai colori differenti: da un lato il terzo posto nel gruppo H di Champions League, gentilissimo regalo del Benfica primo classificato, che con il 6-1 in casa del Maccabi ha spedito fuori da ogni gioco europeo gli israeliani e la squadra di Allegri in Europa League. Dall’altro invece l’Inter di Simone Inzaghi, vincente due volte con il Viktoria Plzen e una con il Barça a San Siro e uscita indenne dal Camp Nou, dove il punto conquistato è addirittura sembrato penalizzante e riduttivo rispetto a quanto avrebbe potuto raccogliere. Ma ai due punti persi in casa dei blaugrana, rivelatisi urticanti più del previsto, sopperisce il successo casalingo che il Viktoria non è riuscito ad evitare, matematico passaggio agli ottavi compreso. La seconda qualificazione consecutiva alla fase ad eliminazione della maggiore competizione europea regala alla squadra di Inzaghi, e a tutto il club di Zhang, un sorriso sportivo e un sospiro finanziario non da poco. 

Due piazzamenti ben diversi che, inevitabilmente, sottraggono a questo derby d’Italia quel pizzico di competitività paritaria sul campo, tanto cara agli Juve-Inter dei “tempi d’oro”, quando a prescindere dai meriti sul campo i risultati venivano talvolta veicolati. E se la storia, dicono, sia scritta da chi vince le battaglie, non sempre pare vada così e addirittura non sempre la storia insegna ma soprattutto rassegna e fa rassegnare. Non c’è difatti Juve-Inter che non faccia ricordare ‘quel’ Juve-Inter, lo Juve-Inter per eccellenza: quello del 26 aprile con Ronaldo-Iuliano-Ceccarini protagonisti. Una rassegnazione che fatica ad arrivare a distanza di ventiquattro anni e mezzo e che non lascia ancora pace a ripensare a quel rigore mai fischiato e al clamoroso epilogo successivo. Una diatriba ancora accesa che porta ancora strascichi di rivalità mai sopita ma che ha altresì trovato pace nelle rivalse del decennio successivo che hanno una volta per tutte, se non cancellato quel triste e storico episodio, senza dubbio risarcitone parzialmente i danni, quantomeno morali.

A morire di rassegnazione mancata, al contrario, sono gli avversari, che a distanza di sedici anni continuano imperterriti a cercare espedienti per riappropriarsi di ciò che giustamente gli è stato sottratto. Sottrazione, termine che di fatto rende una proiezione impropria di quello che non uno, non due, bensì una sfilza di giudici hanno continuamente decretato. Ennesimo ricorso rifiutato, quello presentato dalla Juventus sui fatti di Calciopoli. Un ennesimo “no” incassato dai Torinesi in quella che sembra ormai essersi caricata di una comicità ai limiti dell’imbarazzante. Ma tant’è e quantomeno di buono ha la goliardia che ne è conseguita, benzina di un pre-derby d’Italia già ricco di sfottò a base europea.

Ma scherzi, goliardia e sfottò tipici a parte, a condire di poli inversi un match, già di suo è caratterizzato di opposizioni per natura, è la condizione con la quale le due compagini si presentano all’appuntamento. All’entusiasmo allegriano dei vari infortunati ritrovati, Chiesa compreso, pedina fondamentale di una Juventus che forse può tentare di ritrovarsi, fa da contraltare la preoccupante ricaduta di Romelu Lukaku, tornato ai box dopo il brevissimo rientro dal lungo infortunio che ne ha falcidiato l’avvio stagionale. Inzaghi dal canto suo però vanta un Brozovic in panchina per la prima volta dopo l’infortunio rimediato con la Croazia a fine settembre, e un gruppo definitivamente rinato confermato da un rodaggio europeo sul quale difficilmente si può discutere.

Due pesi sulla bilancia che, come sempre, si bilanciano quasi perfettamente con l’ausilio del più equilibratore dei fattori: l’importanza della partita a prescindere da classifica e forma d’arrivo. La regola numero uno, nonché la più grande delle verità dei derby d’Italia è non a caso la più sbandierata delle frasi fatte: non c’è logica che ne guida le logiche. Non c’è calcolo aprioristico che tenga o favore dei pronostici: che sia ai vertici o a metà classifica uno Juve-Inter non si gioca, ma si vince.


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