La (seconda) rivoluzione silenziosa
Finito il campionato è iniziato il lungo e tortuoso sentiero che porterà al prossimo. Un carico di speranze che dovrà ulteriormente alleggerirsi di zavorre, dubbi tecnici ma anche di certezze. Stiamo già assistendo alle grandi manovre e nessun livello della società è escluso. A partire dal ruolo di team manager che dovrebbe prevedere l’arrivo di Fabio Pinna dal Genoa.
Thohir è da tempo mobilitato nella ricerca dei nuovi soci che, ad oggi, fanno rima con Suning, vengono dalla Cina e hanno intenzione di far conoscere il loro nome in Europa unendosi all’Inter, percentualizzandosi in società al 20%. Cosa implichi da qui ai prossimi anni è davvero presto per dirlo. Di sicuro un grande passo per proseguire la riduzione del debito e un rafforzamento societario notevole, il quale porterebbe l’Inter ad un rinnovato entusiasmo.
La società è però la vera sorvegliata speciale quest’anno. È davvero difficile dare un giudizio netto alla permanenza di Thohir e Micheal Bolingbroke. Se fossero arrivati in un'Inter senza debiti, con uno stadio di proprietà e una squadra da vertice, avremmo potuto fare delle riflessioni più elementari e in condizioni chiare. In questo stato invece la vera critica che può essere fatta a Thohir è quella di essere entrato in una società delegando il debito ad una struttura esterna invece di comprarlo per poi investire.
Quello che però non viene mai messo sul piatto del giudizio complessivo, oltre alle critiche ad un giovane imprenditore indonesiano e alla colpa di non essere uno sceicco “petrodollarato” è che nessun ricco signore straniero viene ad investire in una serie A in queste condizioni. Ci lamentiamo dei tempi che furono e abbiamo stadi semivuoti, senza una legge che agevoli la costruzione degli stessi, a meno che non si provveda a fare come Juventus e Udinese, le quali hanno ottenuto il diritto di superficie e la gestione della struttura per 99 anni dall'amministrazione comunale. Una cosa semplicemente ridicola e che dipende anche dai diversi massimi sistemi di ogni regione, allontanando, una volta di più chiunque voglia mettere soldi nel nostro Paese. Perciò siamo qui a lamentarci perché nessuno fa delle mega campagne acquisti, accollandosi debiti e investendo sul nulla cosmico. Difendo Thohir dicendo questo? No, mi limito a rappresentare una situazione che ci si ostina a declinare in maniera “ottimistica” o catastrofica. Ci sono molte cose che non comprendo di questa società, a partire dalla vera natura che la governa. L’Inter è diventata una struttura aziendale che muta uomini e parla english. Oggi non fa più errori di comunicazione marchiani, le cose restano, nonostante i problemi, gestite in modo professionale. Ma se oggi tocchi l’Inter è freddina, ti guarda dal suo nerazzurro e ti invita a colpi di marketing, ad ammirarla e onorarla e dunque ad avere fiducia, contro ogni logica. È il senso della fede (non solo) calcistica e Javier Zanetti la bandiera umana sventolabile come immagine ed eventuale somiglianza dell’Inter.
L’altro uomo di rappresentanza: Mancini, non è nemmeno tanto amato e oggi, sapere a fine maggio, che gli uomini dal cognome che finisce con la C sono quasi tutti sul mercato (Handanovic, Brozovic, Perisic) o già restituiti al mittente (Ljajic) mi inquieta e, nel contempo, mi rasserena. Il centrocampista è desiderato dall’Atletico, il portiere ammicca in giro, l'esterno è uno degli obbiettivi del Chelsea. Anche Murillo, di cui non si sa se il suo valore sia quello del girone di andata o di ritorno è un possibile partente. Felipe Melo è stato messo sulla lista dei cedibili mentre Mazzarri pare interessato alle prestazioni di Juan Jesus e Santon per il suo Watford.
In arrivo, fino a prova contraria: Banega, Erkin e il sempre più possibile Vilhena, giovane centrocampista dai piedi raffinati.
Sapere di questa mini rivoluzione mi inquieta perché, come dicevo la scorsa settimana, l’Inter non ha armi e soldi per aspirare al terzo posto ma solo idee. L’Inter che c’era fino a ieri i giocatori più forti li teneva e, per migliorarsi, li affiancava ad altri. Oggi è costretta a vendere per monetizzare e a raccontare di avere grandi obbiettivi.
Dunque quello che mi interessa di più è liberarsi velocemente di quel tipo di calciator che gioca soprattutto per il contratto, pensa alla prossima eventuale squadra, non impara l’italiano, si fa i selfie dopo una vittoria o una sconfitta, come se fosse la stessa cosa, e non attecchisce. Voglio giocatori che si leghino, che meritino i tatuaggi da guerrieri, che entrino in campo con l’appetito per la vittoria finale. Io spero, solo quello, che la società non cerchi calciato d’occasione, che giochino a seconda di come si svegliano e indossino la maglia come una divisa da lavoro. Vi garantisco che in giro di giocatori appassionati ce ne sono.
Amala.