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La solitudine dell’Inter e quel “cervello” che manca

di Giulia Bassi

La solitudine dell’Inter come quella dei numeri primi, rievocando il titolo di un notissimo romanzo. I numeri primi sono numeri speciali nell’infinita serie dei numeri naturali: divisibili solo per se stessi e per uno; hanno qualcosa di strano, si distinguono dagli altri e mantengono un seducente e misterioso fascino per gli studiosi. Mistero, fascino e solitudine: i tifosi dell’Inter sanno di cosa si parla. Il senso di solitudine è emerso pochi giorni fa davanti alla maxi operazione, o scambio di cortesie, tra Juventus e Milan. Che ha dato tre conferme e la prima è quella della storica “vicinanza” tra i due club, che si sono fatti favori reciproci: i bianconeri hanno ritrovato con Bonucci un titolare in difesa pronto e rodato, si sono liberati di un Higuain per cui dal Chelsea non c’erano offerte concrete e hanno realizzato una plusvalenza con Caldara; i rossoneri hanno allontanato il capitano che era soprattutto il simbolo della vecchia dirigenza che aveva espressamente fatto capire di non voler rimanere, si sonno assicurati un fortissimo e giovane centrale e hanno risolto il principale problema dello scorso anno, quello di un attaccante in grado di segnare e fare la differenza. Punto secondo: il Milan ha dimostrato che anche senza giocare la Champions e anche sotto regime di financial fair play, i top player possono arrivare. Basta muovere i fili giusti e avere gli uomini migliori ai posti di comando (Leonardo è un ottimo direttore sportivo). Terzo: simili operazioni con l’Inter non sarebbero mai nemmeno pensate, né dal Milan né dalla Juve, per un senso di rivalità atavica ma anche per una distanza tra club che il corso della storia ha sempre e solo ampliato, nel bene e nel male. Morale: la mano che si sono date Juve e Milan ha in parte limato la differenza provocata dal mercato fino a quel punto condotto dai nerazzurri.

Higuain e Caldara fanno sembrare il Milan meno distante di quanto sarebbe stato legittimo pensare di fronte a operazioni sagge e al lavoro portato avanti da tempo da un alto, e a un immobilismo pressoché totale imposto da rovesci societari dall’altro. Inter e Milan ora sono pronte a sfidarsi non solo con i colpi e i gol dei rispettivi attaccanti argentini ma anche sul mercato: il brasiliano Bernard ad esempio, intercettato prima da Leonardo poi da Ausilio è già diventato l’oggetto di una sfida che può significare ben più di un possibile rinforzo o di un mancato nuovo arrivo. Il 25enne svincolatosi dallo Shakhtar è un profilo interessante per l’Inter: sa svariare sul fronte d’attacco, rientrare quando fa l’esterno e può ricoprire più ruoli. Adatto, in pratica, a una squadra che vuole essere camaleontica e disporre di diversi piani di battaglia, a seconda dell’occasione. Difesa a 3 o a 4, giocatori adattabili (Asamoah, Nainggolan, Lautaro Martinez e Politano) offrono soluzioni e idee potenzialmente nuove anche a gara in corso e a seconda delle caratteristiche dell’avversario. Bernard si è “europeizzato” sviluppando l’istinto di giocare velocemente il pallone cedendo meno alle lusinghe delle giocate individuali. Ha qualità in uno contro uno, imprevedibilità di giocata e buon tiro: doti essenziali per un centrocampista che per l’Inter vuole essere diverso e risolvere i problemi della passata stagione. E tra i più grandi, di problemi da risolvere, resta quello del “cervello” della squadra, il ragionatore, il manovratore dai piedi buoni ed educati, quello che con gli spazi chiusi non si intestardisce e non produce azioni inutili ma sa essere paziente per via delle qualità e del talento. Quello che in parte ha fatto Rafinha; quello che farebbe, come forse nessun altro, Luka Modric, sogno o utopia che sia.

Il numero 10 del Real Madrid garantisce letture di gioco e una "totalità" a centrocampo come ben pochi altri in giro per l'Europa; sviluppa il suo gioco con la finalità ben precisa di incollare e compattare la squadra e di sfruttare al meglio le caratteristiche dei compagni. Lo ha dimostrato ampiamente anche in Nazionale. Controlla il pallone, ne fa un possesso “dittatoriale” quando la squadra soffre. Palleggiatore raffinato con entrambi i piedi, centrocampista centrale atipico semplicemente perché troppo forte per rientrare nella inadatta definizione stabilita da un ruolo specifico e perché, addosso a lui, l’espressione di “Johan Cruyff balcanico” non suona affatto blasfema. Un singolo dotato di un valore tale da rendere bella persino la solitudine dell’Inter. Anzi, tanto da renderla punto di forza, nel caso. All’improvviso, come un bellissimo e desiderato temporale estivo che spazza dubbi e nuvole portando prima l'arcobaleno poi di nuovo il sole.

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