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Lo stile di Steven e il futuro dell'Inter

di Giulia Bassi

Steven ci tenne, quella volta, a farsi conoscere di persona: era la tipica giornata grigia di un giorno di novembre del 2016 che precedeva un derby e nella sala stampa di Appiano Gentile avevano appena finito di parlare il capitano Mauro Icardi e il tecnico Stefano Pioli. Prima ancora di avere il tempo di infilare cappotti e piumini per affrontare la pioggia e il freddo, l'ufficio stampa dell'Inter avvisò tutti di fermarsi perché Steven Zhang, sbarcato a Milano proprio per assistere alla partita col Milan, si voleva presentare ai giornalisti: nessuna registrazione, video o foto. Solo un incontro informale, uno scambio di battute. Per conoscersi, appunto. Arrivò timidamente e mostrando un sorriso che si potrebbe definire imbarazzato ma che più probabilmente è solamente la raffigurazione concreta della cortesia e della gentilezza, e salutando con l'accenno appena evidente di un'inchino con quel garbo che fa parte di una cultura prima ancora che di un'educazione.

Iniziò a parlare quasi sottovoce in un inglese perfetto e comprensibilissimo guardando, di volta in volta, tutti negli occhi come se ci tenesse, come fosse una questione personale, convincere i presenti di quello che stava raccontando. La timidezza si mescolava all'eleganza e all'impeccabilità per poi ritrovarsi a diventare sicurezza e determinata convinzione. Parlava dell'Inter non come di una squadra di calcio: più come di una filosofia. E di una responsabilità. Un concetto universale, se vogliamo. Ripeteva e ripeteva ancora di quanto contasse l'identità milanese e italiana del club e al tempo stesso richiamava con insistenza il motto, che è tale fin dalla fondazione, "fratelli del mondo".

Delle sue parole non rimanevano impresse tanto quelle spese per ribadire la volontà di ritornare ad alti livelli, di vincere eccetera eccetera (cosa mai dovrebbe dire un dirigente, che si vuol perdere?) ma piuttosto quel, ancora chiarissimo tra i ricordi dopo quasi due anni, "vogliamo che i nostri tifosi possano essere orgogliosi di noi". Quasi ossessivo il rimando ai valori "che ogni singola persona all'interno del club deve saper trasmettere" e a un'energia positiva da sprigionare attraverso lavoro e risultati. Tutti devono sapere cos'è l'Inter ed esserne fieri diceva Steven, oltre a promettere che avrebbe imparato l'italiano il prima possibile.

Non sorprende affatto, quindi, che le prime dichiarazioni di Steven Zhang una volta diventato il 21esimo presidente nella storia dell'Inter siano state in qualche modo simili, con un forte richiamo, oltre che ai risultati sul campo e ai traguardi ambiziosi, soprattutto alla lealtà sportiva, alla crescita commerciale, alla comunicazione e alla volontà di trasmettere "messaggi rivolti non solo ai nostri tifosi ma alla società intera". Filosofia di vita. Non avrà vita facile il nuovo presidente, lui sempre garbato e gentile, nel Paese in cui si urlano insulti, si "pretendono" Modric, Rafinha o chissà chi altro e si giudica tutto in base ai risultati. Lo scorso anno Steven fu costretto a bloccare i commenti su Instagram perché pubblicò la foto di un'auto di lusso dopo una serie di sconfitte della squadra per cui sotto al post si scatenò l'inferno (lezione poi presumibilmente imparata sul tempismo e le opportune dimostrazioni di se stessi al tempo dei social).

Probabilmente dovrà fare i conti con i primi malumori già in vista della trattativa per portare in nerazzurro Beppe Marotta, professionista indiscusso e di successo sul cui curriculum, però, agli occhi di molti tifosi appare come una macchia, anziché un valore aggiunto, l'essere stato amministratore delegato della Juve dal 2010 fino a pochi mesi fa. Le prime mosse, infatti, dovrebbero riguardare innanzitutto l'assetto societario mentre sul fronte mercato per ora l'Inter ha pensato più che altro a confermare la fiducia in chi l'ha portata fin qui: dopo il rinnovo di Spalletti dello scorso agosto, infatti, il club nerazzurro ha prolungato i contratti di Brozovic, Vecino, Gagliardini, Dalbert, Candreva e Miranda. Scelte che a molti non piaceranno ma che indicano chiaramente la volontà di costruire dalla fondamenta e senza rivoluzioni. Per ora.

Poi il giovane Steven avrà davanti l'esame più duro, il primo di una lunga serie, proprio con la riapertura del mercato, parametro quasi vitale tramite il quale si misurano forza e ambizioni del club. Anche perché, semmai ce ne fosse stato bisogno, la sfida col Barcellona ha dimostrato che a certi livelli, e parliamo dei più alti immaginabili, l'Inter ha pensato (scelta anche psicologica oltre che tecnicamente "obbligata", nella testa del mister, per via delle differenze rispetto all'avversario, l'assenza di Nainggolan e la condizione precaria di alcuni titolari) a non fare figuracce e a non uscire con le ossa rotte piuttosto che provare a dire la sua ma rischiando l'imbarcata (e non è solo un gioco di parole), saggiamente evitata. In attesa di avere esperienza, forza e testa per navigare in mare aperto, lì dove toccherà al giovane Steven condurre la nave. 

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