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Ma lascia stare (ma chi te lo fa fare)

di Gabriele Borzillo

Ma dai, ma che volete, siamo andati in Ciociaria, abbiamo giocato, vinto, dominato… no? No cosa? Ah, non abbiamo dominato? Eppure ho sentito le dichiarazioni del post partita: tutti uniti e compatti riguardo la bontà del gioco espresso. Roba che ad un certo punto mi sono auto convinto di aver seguito non Frosinone - Inter ma, per un banalissimo errore nel sintonizzare il canale, una qualche partita di un qualche campionato. Probabilmente estero. Probabilmente. Eppure… eppure, sinceramente, le magliette mi sembravano proprio giuste; gialla con piccoli inserti blu quella degli altri, la nostra da trasferta bianca con il nerazzurro sul petto.

Bando alle ciance, si diceva una volta, di Frosinone – Inter parliamo. Ed io, mi spiace per i nostri prodi, l’ho vista del tutto diversa. Primo tempo alla velocità di uno scontro tra case di riposo, ho sentito amici che si sono addormentati davanti al televisore, con qualche rara occasione qua e là ma roba che non ti faceva alzare in piedi dalla poltrona a smoccolare. Secondo tempo imbarazzante condito dalla perla di, cito l’amico Andrea de Boni, quello che non segna mai. Su assist di Perisic, fino a quel momento più propenso ad un sano passeggio per digerire la porchetta; perché, come dicevano i latini, dopo pranzo lento pede deambulare, ovverosia camminare con passo lento. 

Per il resto, domando scusa a tutti quanti, a questa ottima prestazione non ho fatto caso. Forse avevo la palpebra calante grazie ai tortiglioni al ragù del mezzogiorno. Come non ho fatto volontariamente caso alle dichiarazioni di una fantomatica rincorsa al posto Champions. Non prendiamoci in giro, per cortesia. Una squadra che ci crede davvero non mette in fila prestazioni largamente insufficienti tipo quella col Toro, favorita certo dal volo pindarico del novello Icaro Belotti ma affrontata senza grinta né nerbo eccezion fatta per il primo quarto d’ora, o quella di ieri l’altro la cui unica cosa da salvare sono i tre punti finali, Mauro Icardi e il cross di Perisic. Poi, siccome il calcio non è una scienza esatta e nella mia vita ne ho viste di ogni, sculacchiando vertiginosamente e ringraziando blackout altrui recuperiamo punti su punti modello cuginetti nell’anno zaccheroniano. Miracoli pallonari.

Le certezze che ci portiamo dietro, ad oggi, sono comunque poche. Perché il gioco continua imperterrito a latitare. Perché per l’ennesima volta abbiamo visto in campo una formazione diversa da quella di settimana scorsa. Perché, sostanzialmente, dopo trenta e passa giornate la squadra non ha una vera e propria identità. E, cosa ancora più grave, non ti dà mai l’impressione di poter spingere sull’acceleratore, cambiare passo e mettere in difficoltà l’avversario di turno. Si chiami Frosinone, Barcellona o Cogollo del Cengio. Colpa di Roberto Mancini? Sì, in parte mi sento di rispondere affermativamente al quesito. E, come ben sapete e se non lo sapete ve lo dico, questa critica viene da un manciniano duro e puro, con la lacrima che mi sta rigando la guancia. Però quando ci vuole ci vuole. Mazza e panelle fanno i figli belli, panelle senza mazza fanno i figli pazzi. Pertanto, con la morte nel cuore, penso seriamente che il Mancio debba, necessariamente aggiungo, darsi una mossa. Insomma, sceglierne 13/14 e con quelli andare fino alla fine. Le grandi squadre fanno ruotare nell’arco di una stagione una quindicina di elementi. Gli altri servono da cornice, giocano se gli altri sono influenzati o, se la partita è decisa, entrano per preservare l’integrità dei titolari. Mou, andate a rivedere, giocò l’intera annata con 10 titolari e altri tre o quattro a sgomitare per l’ultimo posto disponibile. Mi spiego meglio, se il concetto non fosse chiaro. Mettiamo che vi chiedano a memoria, più o meno, la formazione del Real. O del Bayern. O del Barca. O di chi volete Voi. Beh, la sostanza è che la sapete. Ecco, noi no. Noi non sappiamo ancora oggi chi giocherà e perché. E non va bene; non per me almeno.

Detto ciò mi ostino a pensare che in campo scendono sempre i giocatori. E se ci tocca assistere ad errori nei disimpegni di cinque metri cinque mi dovete spiegare cosa c’entra l’allenatore. Leggo a destra e a sinistra; ma quei giocatori li ha voluti Mancini. Certo, obietto io, li ha scelti perché pensava che gli avrebbero dato di più. Molto di più. E la storiella dell’aver fatto spendere un sacco di soldi alla Società è una favola metropolitana. Perché possiamo anche discutere sulla bontà delle scelte del Mancio, ma l’andirivieni di calciatori non ha pesato sul bilancio. Ed oggi la rosa nerazzurra ha un valore assai superiore a quello di un paio d’anni fa. Innegabile. 

Quindi, ricapitoliamo; il tecnico fa errori, a volte anche inspiegabili. Ma chi corre, o si presume lo faccia, sono i giocatori. Diciamo che alla fine della fiera abbiamo un deciso concorso di colpa. Punto in più per Mancini che, interrogato, si è dato correttamente un voto basso. Difendendo i suoi ragazzi. E la cosa va pure bene; ma fino ad un certo punto. Perché se il mister merita un cinque meno meno, gran parte della rosa è largamente al di sotto del cinque; alcuni poi facciamo pure del quattro.

Quindi da cosa ripartire? Questa è la domanda. Ma da Mancini, nonostante tutto. Tempo per nuovi progetti zero. Apprendisti stregoni individuati su qualche campo di provincia anche no. E dagli Icardi, dai Miranda, dai Perisic. Da chi è in grado di dare il proprio contributo. Fattivamente, non tanto per. E da chi non manda il proprio procuratore a bussare a denaro ogni due partite giocate decentemente, scordandosi in un amen altre dieci inutili messe in fila prima. Lasciamo stare va, chi ce lo fa fare di tenere ancora in squadra chi questi colori non li sente come una seconda pelle. Di loro non c’è bisogno, portare denaro e cambiare maglietta. Altrimenti zitti e correre. 
Amatela. Sempre!
E buon inizio settimana a Voi.


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