Mancini e Moratti, strategia condivisa con Thohir: "Ora si investa per l'Inter"
La vittoria contro l'Empoli nell'ultima stagionale al Meazza ha rappresentato il minimo sindacale per terminare il campionato al quarto posto con una giornata d'anticipo senza la spada di damocle del preliminare per giocare in Europa League. Vittoria a due facce, con buone trame nel primo tempo, un bel gol di Icardi, un pareggio frutto dei soliti errori e poi, sul 2-1, l'immancabile sofferenza nel finale con l'Empoli a sfiorare il gol beffa al minuto novantaquattro. Il Meazza era vestito a festa, quarantacinquemila spettatori colorati e vocianti per salutare la Beneamata, nonostante non ci fossero titoli da festeggiare. Da parte dei tifosi dell'Inter c'era solo il desiderio di manifestare per l'ennesima volta l'amore per questa squadra, a prescindere dal risultato. Un po' come succede nella celebrata Inghilterra.
Al fischio finale, quello che sanciva l'ultimo atto casalingo della stagione, ti saresti aspettato l'intera squadra schierata sotto la Curva Nord prima e sotto gli altri settori, dopo, a ringraziare chi li ha sempre sostenuti facendo registrare il primato di presenze casalinghe in Italia. E invece solo quattro o cinque giocatori, peraltro sollecitati da qualcuno, hanno alzato un braccio e regalato qualche timido applauso alla gente. Gli altri erano già scappati negli spogliatoi, non avevano sentito il bisogno di interagire con il pubblico nonostante durante la stagione non ci sia stato nessuno screzio, nessuna polemica tra le parti. È stata più semplicemente la dimenticanza di un gruppo che, nella sua maggioranza, non ha ancora capito cosa significhi giocare nell'Inter, cosa significhi avere il privilegio di scendere in campo in uno degli stadi più belli e famosi del mondo, al cospetto di una delle tifoserie più numerose d'Italia e d'Europa. E capire queste cose servirebbe molto per tornare a vincere. Ma la mentalità, come già scritto in passato, non si compra in sede di calcio mercato. La mentalità e il senso di appartenenza si acquisiscono quotidianamente e allora anche la società dovrebbe attrezzarsi meglio, in proposito, per trasmettere il verbo.
Terminato lo sfogo, veniamo ai fatti di cronaca che in casa Inter non mancano mai. La prima pagina in questi giorni se l'è ripresa Massimo Moratti che a domanda precisa sotto l'amata Saras, come ai vecchi tempi, risponde ammettendo di aver pensato ad un Thohir in grado di investire di più nell'Inter, pur riconoscendo all'azionista di maggioranza le difficoltà imposte dal Financial Fair Play. Le parole di Moratti fanno da eco al pensiero di Roberto Mancini che continua a dire che l'Inter, per storia e blasone, non può accontentasi di arrivare quarta. Ma nemmeno porsi come obiettivo massimo il terzo o secondo posto per entrare in Champions League. Roberto Mancini chiede di poter competere per lo scudetto e per la conquista di una Coppa. Insomma, sembra quasi che Moratti e Mancini, che in passato qualcosa all'Inter hanno vinto, si siano messi d'accordo nell'incalzare Thohir a operare per un rilancio sportivo del club e non solo per il suo risanamento economico e finanziario. Probabilmente le due cose, apparentemente in contrasto, a lungo andare vanno di pari passo. Se vuoi vincere devi investire, ma se se vuoi rimanere a galla, devi avere i conti a posto, anche per le nuove regole imposte dall'Uefa.
A mio avviso figure come quella di Thohir e del managament scelto si stanno rivelando strategiche per puntare a breve al sospirato pareggio di bilancio. L'ultimo incontro di lunedì all'Uefa, soddisfatta del lavoro svolto dai contabili nerazzurri, fa ben sperare e quindi applausi alla società per l'impegno su un versante che non entuasiasma il tifoso, ma che ormai da qualche anno deve interessare in un calcio che non prevede più il mecenate pronto a staccare assegni per ricapitalizzare. Dall'altra parte ben vengano però ogni tanto richiami all'importanza di avere una squadra competitiva, e quindi con giocatori forti, esperti e pronti al salto di qualità. Letta la stagione con attenzione e non con superficialità, non ne serviranno molti. Non servirà l'ennesima rivoluzione. Quest'Inter, targata Roberto Mancini, arrivando quarta ha conseguito il miglior risultato delle ultime cinque stagioni e ha dimostrato di aver creato una base di squadra su cui lavorare. Alcuni giocatori, considerati flop a inizio anno come Kondogbia e Perisic, hanno cambiato marcia, soprattutto il croato e ora fanno parte di quella lista di intoccabili, insieme a Icardi, Brozovic e Miranda, che per Mancini, dovranno rappresentare l'ossatura della squadra per il prossimo anno. Non servono scossoni, tanto meno in panchina. Fatico a comprendere cosa voglia realmente chi si augura il prossimo anno un'Inter senza Roberto Mancini.
L'ipotesi Simeone per ora è uno slogan, non può essere realtà, lo sa anche chi sponsorizza il Cholo sulla panchina nerazzurra. Mancini andrebbe solo ringraziato per aver accettato di tornare a dare una mano in una piazza a cui si sente legato. Ma questa è solo la mia opinione, ci mancherebbe. Intanto sabato sera una formazione largamente rimaneggiata, per infortuni e squalifiche, affronterà il Sassuolo a Reggio Emilia nell'ultima di campionato. Qualcosa mi dice che un'eventuale passo falso, che non mi auguro, non rovinerebbe però il sonno ai tifosi dell'Inter...