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(Ma)Rotta per casa di Dio

di Christian Liotta

La sconfitta di Bergamo è un fatto che va oltre i numeri, del resto il fatto di provare a spiegare il calcio solo con le statistiche “è il modo che usa la gente che non capisce il calcio”, come da sonora blastata emessa da José Mourinho subito dopo la sconfitta nel derby contro il Manchester City, lui che nei giorni scorsi ha scosso notevolmente il mondo del calcio con quella mano portata all’orecchio dopo il ribaltone finale che il suo United è riuscito a centrare all’Allianz Stadium in risposta ai continui cori di insulti da parte dei tifosi presenti; gesto che, va detto, ha creato più sconquassi tra i tifosi e gli opinionisti che tra gli addetti ai lavori, che hanno praticamente espresso tutti giudizi di assoluzione verso quanto fatto dal tecnico portoghese, dal loro punto di vista decisamente più privilegiato e diretto rispetto a quello dei commentatori da salotto, che hanno dovuto starci.

La sconfitta di Bergamo, dicevamo, è qualcosa che va scandagliata oltre il 4-1 finale. Risultato che sarebbe andato sicuramente bene nel primo tempo orribile della formazione di Luciano Spalletti, che però, come portentosamente analizzato nell’editoriale apparso ieri sui vostri schermi, in qualche modo era riuscita a riacciuffare la gara. Ma il pesante ko dell’Atleti Azzurri d’Italia è anche un’Atalanta brava a rimettersi in carreggiata e a riportarsi avanti fino a riprendersi quello che avrebbe meritato di avere prima (anche se, a quanto pare, agevolata da quegli episodi già analizzati nel suddetto editoriale).

Il tonfo in terra orobica è un Luciano Spalletti che incassa un risultato pesante prestando il fianco agli interrogativi e alle critiche dei suoi detrattori, in virtù di alcune decisioni a livello di formazione risultate perlomeno opinabili e di una gara sfuggita troppo presto dalle sue mani come un’anguilla, e al quale per giustificare il tutto si faticano ad accettare, mai come questa volta, i suoi consueti voli tecnico-pindarici. E al tempo stesso è un Marcelo Brozovic che martedì col Barcellona, nei minuti finali, denuncia una spia della riserva accesa quando perde palla a metà campo e annaspa nel tentativo di rientrare, e che domenica finisce anche a corto di lucidità rimediando nel finale un’espulsione forse figlia della strana gestione dei cartellini da parte di Fabio Maresca ma comunque sintomatica del debito di freschezza mentale. E anche un Milan Skriniar che dopo aver giganteggiato con Luis Suarez ha visto Duvan Zapata ballargli la rumba davanti spesso e volentieri.

Insomma, in poche parole, è stata la classica giornata da dimenticare, come detto da uno Skriniar come sempre particolarmente loquace quando torna nella sua Slovacchia per qualsivoglia motivo. Pagate all’eccesso, probabilmente, le fatiche di un ciclo particolarmente importante di partite, tra l’altro tutte o quasi vinte, iniziato con la vittoria nel derby sul Milan con un 1-0 epico nei modi ma sicuramente striminzito vista la superiorità schiacciante dimostrata dai nerazzurri, passato per le prove di autorità e di bel gioco messe in scena in particolare contro la Lazio e il Genoa, fino al pari acciuffato con le unghie e con i denti in casa contro il Barcellona che darà all’Inter un buon vantaggio, anche se non decisivo, per la cruciale gara di fine mese a Wembley contro il Tottenham. Fatica che è costata cara anche agli stessi catalani, per ampi tratti letteralmente messi all’angolo dal Real Betis in campionato più di quanto non possa indicare il risultato finale.

Ben venga la sosta, quindi, anche per poter capire se e quanto questa sveglia possa fare bene ad un gruppo che, per stessa denuncia di Spalletti, fatica a fare della continuità il suo punto forte. Al di là di chi magari non aspettava altro per ricominciare a riversare veleno come se le sette gare precedenti in campionato e le sfide di Champions fossero state acqua fresca, ma probabilmente lo stesso dure da digerire per i risultati ottenuti, e di chi comincia a vedere le streghe ripensando ai passaggi a vuoto prolungati, anche recenti, di cui è stata protagonista la squadra nerazzurra (stendendo un velo pietoso su chi comincia a prefigurare disastri arrivando anche a mettere il tecnico sulla graticola, ad auspicare purghe di massa e invitando addirittura il povero Lautaro Martinez a cambiare aria, chissà per quale motivo poi), rimane certamente questo il limite a tutt’oggi inesplorato di questa Inter: riuscire a mantenere sul lungo termine una certa forza anche psicologica, imparare a digerire certe strisce di partite che possono apparire pesanti ma che se aspiri a tornare ad essere grande devi comunque mandare giù a forza, cercando di assorbire il prima possibile le crisi di rigetto. Visto che Spalletti ha parlato di ‘vampiro di Appiano’, è ovvio che l’aglio possa non piacere a tutti, ma se proprio vuoi scacciare un vampiro una volta per tutte…

Arrivare ad una sosta dopo una sconfitta, specie dopo una sconfitta di questo genere, è assolutamente quanto di più deprecabile possa avvenire per un ambiente già particolarmente delicato di natura: perché quindici giorni di lunga e snervante attesa comportano inevitabilmente acrobazie e arzigogoli per riempire discorsi, momenti vacui e magari anche pagine dei giornali. Anche se, all’improvviso, un nuovo argomento oggetto inevitabile di dibattito pare stagliarsi imponente all’orizzonte: dopo qualche giorno di silenzio o di voci basse, all’improvviso è tornato in auge il nome di Beppe Marotta in orbita Inter. Questo in virtù della sua apertura pubblica ad un futuro nerazzurro nel corso di una premiazione che lo ha visto protagonista, e delle dichiarazioni di virtuale benvenuto di Massimo Moratti prima e di Marco Tronchetti Provera nelle ultime ore.

Sin dai primi momenti in cui i sussurri intorno all’avvento dell’ormai ex ad della Juventus in nerazzurra sono diventati grida, inevitabilmente la tifoseria interista si è spaccata in due fazioni antitetiche: i contrari, che rimproverano giocoforza a Marotta il proprio passato troppo recente in bianconero, con contorno di alcune frasi degli anni scorsi non propriamente lusinghiere nei confronti dell’Inter, e che temono il riproporsi dell’effetto ‘cavallo di Troia’ in arrivo da Torino come magari avvenne nella parentesi Marcello Lippi; e i favorevoli, pronti ad accogliere tra le proprie fila colui che si è dimostrato essere il miglior dirigente sportivo degli ultimi anni, visti quelli che sono stati i risultati ottenuti non solo in ambito sportivo e gestionale.

Sembra ormai ovvio che Steven Zhang, neo presidente dell’Inter, straveda per Marotta, e per la sua intenzione di circondarsi dei migliori elementi sulla piazza il suo nome risponda perfettamente, anche per le condizioni storiche, alle sue volontà. Pochi dubbi anche sulle qualità del dirigente, che in passato avrà fatto sì qualche scelta sbagliata ma quale manager sportivo al mondo non ne ha mai fatta una. Piuttosto, prima ancora della sua designazione che ormai sembra praticamente scontata, ex ante possono sorgere alcuni interrogativi.

Primo su tutti: cosa bisogna aspettarsi da Marotta all’Inter? E per converso, cosa deve aspettarsi Marotta dall’Inter? Quale sarà il suo ruolo effettivo e come riuscirà a integrarsi all’interno della struttura che già prevede Piero Ausilio e Alessandro Antonello, i quali dovrebbero comunque mantenere il loro posto? Riuscirà a cucirsi addosso il ruolo del tanto auspicato ‘uomo forte’ che in casa Inter attendono da tempo immemore, quello che va a parlare forte e chiaro ai microfoni delle tv e magari nelle assemblee di Lega? E che magari prende finalmente i giocatori per la collottola quando le cose non vanno come da programma e c’è da dare una strigliata al gruppo senza paura di finire travolto da esso?

Sarà insomma proprio Marotta l’uomo che aiuterà l’Inter a fare l’agognato salto di qualità che da Nanchino a Milano attendono da anni ormai, traghettando il club verso nuovi orizzonti di gloria sportivi e non solo? Dubbi che legittimamente restano in sospeso, ma per i quali non è giusto forse flagellarsi prima del dovuto. L’attesa resta, con fiducia o meno dipende dallo stato d’animo di ciascuno. Intanto, birra e Camogli…

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