Melo, responsabilità senza demoni. Non puoi nasconderti, ma il Mancio ha vinto
Dopo Handanovic con la Fiorentina, ecco Felipe Melo con la Lazio. Pochi giri di parole: episodi decisivi ai fini del risultato quelli che hanno visto protagonista il brasiliano, letteralmente folle sul rigore e poi sull'entrataccia ai danni di Biglia. Peccato, perché fin qui Melo aveva sicuramente offerto un contributo positivo alla causa nerazzurra, un po' come tutti. Il rosso a Bologna fu inesistente, questo sacrosanto. Se ne dovrà assumere la responsabilità e tornare in campo con lucidità.
Ma gli errori sono stati anche di Mancini (tra scelte tattiche e di interpreti) e dei giocatori (molli e svagati). La Lazio ha portato a casa bottino pieno senza fare quasi nulla in attacco, ma mettendo in campo le armi di cui disponeva e facendo affidamento su un'organizzazione tattica sufficientemente accorta.
Inter lenta, farraginosa, quasi svuotata. Nonostante tutto, fino alla follia di Melo, l'inerzia era stata spostata dalla parte dei padroni di casa, che avrebbero potuto trovare il guizzo nel finale. Così non è stato perché questo è il calcio, non c'è tanto da stare lì a menare il can per l'aia (un pitbull di lingua portoghese, probabilmente).
Ma non sono d'accordo né con la demonizzazione di Melo né con la demoralizzazione ai limiti del suicidio di una certa parte del tifo interista. Essere in testa a Natale non vuol dire nulla se ci proiettiamo a maggio, ma vuol dire tanto se intendiamo analizzare quanto fatto fino a questo punto da una squadra reduce da macerie. Osservare la stessa dinamica da più punti di vista ha sempre i suoi vantaggi.
L'Inter si mangia le mani per aver depauperato un considerevole vantaggio soprattutto su Juventus e Napoli, le più autorevoli contendenti al Tricolore. Si poteva fare di più, specie nell'ultima recita prenatalizia. Ma si poteva anche fare peggio, di molto. Per esempio, ci si poteva trovare nella stessa condizione dei cugini milanisti, sospesi tra l'anonimato e la crisi perenne. Le premesse erano più o meno le stesse, fin qui il cammino quasi opposto. Merito a società, giocatori e tecnico. Mancini è stato in grado di barcamenarsi tra passato vincente, passato (recente) perdente e futuro colmo di incognite. Un tourbillon di formazioni e giocatori, mesi di lavoro prima sulla testa del gruppo e poi in campo. Essere tornati a ragionare in termini di scudetto è già un successo. Ma se poi ti chiami Inter e sei in testa a gennaio, beh, allora non ci si può più nascondere. Vincere aiuta a vincere, si diceva nella prima esperienza manciniana sulla panca nerazzurra. Un concetto che vale ancora.