Mercato, la musica è cambiata. Ma la strategia c'è
Il mercato appena conclusosi e il 4-4 interno contro il Palermo sono temi caldissimi in questo momento. Inevitabile che, per molti degli addetti ai lavori o semplici appassionati, il secondo sia in parte lo specchio del primo, anche se sostenerlo può apparire una forzatura vista la tempistica. Inutile tornare sul passo falso contro i siciliani, può capitare di sprecare una buona occasione come questa. Mi piacerebbe catalogarla nella sezione ‘sfortuna’, ma credo che dietro ci sia anche dell’altro. Sul 3-2 e sul 4-3, vantaggi guadagnati con sudore e sangue dopo momenti di pura ansia, a Ranieri è mancato quel giocatore in grado, al fianco di Cambiasso, di addormentare il gioco nascondendo il pallone agli avversari. Definitemi un disco rotto, ma sappiamo bene a chi mi riferisco: Thiago Motta.
A Genova, a Cesena e nel derby, giusto per citare alcune delle ultime vittorie risicate, l’italobrasiliano è stato bravissimo a congelare il pallone impedendo agli avversari di salire troppo, giocando alla grande con le energie rimaste ai compagni e con il cronometro. Sarà un caso, ma contro il Palermo, in due occasione, la gestione del pallone ci è totalmente mancata, favorendo il ritorno dei rosanero. Lo so, se un giocatore chiede di andarsene in tutti i modi c’è poco da fare per trattenerlo, sarebbe controproducente. Lo ha detto Ranieri, lo ha ribadito Moratti. Ma sbilanciandomi in un parallelo, penso al caso di Tevez, giocatore di golf per altri 5 mesi. L’argentino ha chiesto in tutte le salse di essere ceduto, si è impuntato, ha rotto con tutto l’ambiente City, è scappato, si è fatto fotografare con altri dirigenti.
In pratica, rispetto all’atteggiamento di Thiago Motta siamo al paragone tra diavolo (è il caso di dirlo) e acqua santa. Paradossalmente, a cambiare maglia è stato chi si è comportato ‘meglio’. Il motivo è presto detto: il potere finanziario dello sceicco, che non ha certo bisogno di elemosine, e un contratto ancora lungo hanno messo il City nella posizione di rifiutare le avance sbrigative e poco ortodosse del Milan, trattenendo un giocatore capriccioso. Moratti, e di conseguenza l’Inter, non godevano né dell’uno né dell’altro aspetto. Mettiamocelo bene in testa: la società nerazzurra non voleva rinnovare il contratto di Motta, e pur di non perderlo tra sei mesi a una cifra inferiore (con sul groppone altri sei mesi di stipendio) ha scelto di lasciarlo andare. Decisione inevitabile per un’azienda che ha bisogno di incassare liquidità al fine di ridurre il rosso in bilancio.
Io ho criticato la cessione di Motta perché ha impoverito tecnicamente la squadra (non tutti la pensano così, ma il calcio è bello perché è vario), ma anche perché non è stato trovato un giocatore dalle caratteristiche simili. D’altronde, sarebbe stato impossibile in così poco tempo e senza soldi da spendere. Amen, inutile tornarci su, ora abbiamo Palombo e tra qualche tempo anche Guarin. Speriamo che i loro innesti giovino alla squadra nella rincorsa al terzo posto, che vale tutti i sacrifici che noi tifosi stiamo sopportando. Già, perché non qualificarsi alla Champions League significherebbe aver gettato al vento salti mortali finanziari non da poco.
Leggo molte lettere che arrivano a me personalmente e alla redazione in generale e mi sono fatto un’idea del pensiero quasi comune: il tifoso ce l’ha con la società, con Moratti e con la dirigenza. Sogna il ritorno di Oriali e, magari, la cessione a una cordata di imprenditori, possibilmente arabi e alto spendenti. Sognare non costa nulla e, di questi tempi, è un valore aggiunto. Ma in tal senso vorrei cercare di inviare un messaggio: se anche Moratti cedesse allo sceicco di turno, pur avendo tanti quattrini questi non potrebbe fare chissà quali investimenti. L’Uefa è stata chiara: gioca le coppe europee solo chi ha il bilancio non dico in salute, ma almeno convalescente. L’Inter sta cercando di chiudere il prossimo a -45 milioni di euro, il minimo richiesto dall’Uefa per il prossimo esercizio. E il trend non si concluderà una volta raggiunto l’obiettivo, per quello successivo si dovrà mirare ad avvicinare lo zero alla voce rosso. Non illudiamoci, dunque, che arrivi il miliardario di turno e spenda quanto gli pare per la gioia dei tifosi. Chi lo ha fatto ieri e l’altro ieri, o ha iniziato a farlo oggi, domani dovrà rendere conto alle istituzioni del pallone. E non si aspetti flessibilità in quest’ottica.
L’Inter ha scelto di cedere i suoi big per ridurre il gap di bilancio. Decisione dolorosa ma indispensabile. E non sorprenda se tali cessioni siano arrivate a cifre apparentemente basse: quello che conta, per un club di prima fascia, è liberarsi dei grossi ingaggi, che pesano tremendamente sugli esercizi di fine anno. Inutile, dunque, attendersi rinnovi contrattuali alle stesse cifre attuali. Solo in caso di spalmatura pluriennale dei compensi o di tagli evidenti degli stessi certi giocatori continueranno a vestire la maglia nerazzurra. Motta aveva mercato ed è stato ceduto, perché il suo contratto non sarebbe stato rinnovato tra un anno. Ed ecco che la società punta sui giovani, scommette e spera di avere ragione.
Perché i giovani? Perché costano poco, non guadagnano tanto e possono potenzialmente diventare dei campioni. Peccato che a volte vengano sacrificati (o meglio, accantonati) sull’altare del risultato. Chi lo dice ai tifosi che dovranno avere pazienza nei loro confronti, a costo di rimediare batoste qua e là? Siamo in fase di ridimensionamento, è evidente, inutile nasconderlo. Probabilmente a giugno anche Sneijder verrà ceduto, perché guadagna troppo e ha ancora mercato. Mettiamocelo in testa, è l’unico modo per recuperare finanziariamente gli investimenti folli di qualche stagione fa. Firmare certi contratti in tempi di vacche grasse ha avuto un effetto boomerang sulle casse del club. Si pensi a Muntari, strapagato per 4 anni rispetto al suo contributo. In tutti i modi i nerazzurri hanno cercato di regalarlo, pur di non versargli lo stipendio. Ma al mondo non c’era nessun folle da corrispondergli le stesse cifre. Ed è per questo che il ghanese ha preferito fare tribuna dorata pur di andare a rimetterci altrove. Scelte di vita, ma ora è un problema di Galliani.
Lo scenario è deprimente, ma dopo aver completato la fase di ristrutturazione si potrà vedere la luce in fondo al tunnel. Perché la famiglia Moratti non smetterà di investire, ma lo farà in modo oculato. Prenderà giovani di talento, pur pagandoli a prezzi elevati (spalmati in più annualità, o con i bonus: le formule per non svenarsi esistono), ma non verserà loro stipendi faraonici. È così che avverrà la ricostruzione dell’Inter, con un bilancio più sano e giocatori più giovani e futuribili. Magari tra essi ci sarà il campione di turno, sempre che la dirigenza abbia la vista lunga, aspetto non certo irrilevante. Ricordo che non è il costo che fa il campione: gente come Julio Cesar, Cambiasso, Zanetti, Lucio, Maicon e Stankovic è arrivata a Milano o gratis, o a bassi costi. Ed è stata parte integrante del miracolo del Triplete. Poi si pensi a gente come Quaresma e chi l’ha preceduto, strapagato e mai in grado di dare gioie ai tifosi interisti. Per fortuna, talento e costi non sempre sono direttamente proporzionali. Non subito, almeno…