Milano, che fatica... (E non c'è nemmeno un Benfica)
Sembra di aver fatto un balzo indietro con la memoria di almeno trent’anni: anche nei primi anni ottanta, infatti, il calcio italiano vedeva reggersi i propri equilibri sull’asse fra la Torino bianconera e la Roma giallorossa, destinate, a parte la felice eccezione del Verona di Osvaldo Bagnoli, a spartirsi la supremazia sul territorio italiano, tra scudetti vinti e persi in maniera rocambolesca, stilettate fra presidenti, gol regolari annullati e via cantando. E le altre? Le altre erano destinate a guardare, volenti o nolenti: soprattutto le due squadre di Milano, Inter e Milan, vivevano anni davvero grigi, barcamenandosi tra tornei mediocri, passaggi di proprietà, sulla sponda rossonera anche clamorosi flop sul campo come la seconda retrocessione in B in tre anni. Oggi, anno di grazia 2014, è quasi tutto come allora: non c’è l’incubo della cadetteria, ma Inter e Milan continuano a vivacchiare mentre il duopolio bianconero-giallorosso è tornato preponderante, e la sfida stracittadina, pur conservando l’indubbio fascino che la storia le dona, non vale da diverso tempo ormai un risultato che conta. E lo scontro incrociato non sposta di un millimetro, sul piano della classifica, questo deprimente equilibrio.
Che partita è stata, quella di domenica? La maggior parte dei critici si è schierata sul polo negativo, parlando di sfida che non ha fatto altro che mettere in risalto la mediocrità delle due formazioni, anche con toni sarcastici o addirittura tranchant verso le effettive capacità degli uomini in campo. Da questa parte, invece, non si è schierato Massimo Moratti, che tornato per un giorno a esprimere la sua opinione sulla sua ex squadra sotto gli uffici della Saras, ha ammesso che il derby gli è piaciuto, e che non ha affatto visto una brutta Inter. Dove sta la verità? Probabilmente, come nella maggior parte dei casi come questo, la verità sta nel mezzo.
Perché è vero, rispetto al desolante spettacolo offerto nei derby dell’anno scorso, perlomeno un piccolo passo in avanti c’è stato. Soprattutto da parte dell’Inter che ha provato a fare la partita tenendo sostanzialmente il pallino del gioco mentre il Milan ha privilegiato la tattica dell’attesa e della ripartenza. Ma a fare da contraltare arrivano indubbiamente i tanti sprechi, quelli di Mauro Icardi e Stephan El Shaarawy davvero clamorosi su tutti, le amnesie difensive delle due squadre, più in generale le idee di gioco che ancora latitano, il tutto condito dalla poca qualità e prima ancora dai pochi reali mezzi a disposizione di entrambe le società. E allora, che giudizio esprimere su questo punto incamerato dalle tue formazioni? Serve a tutte, a una sola, a nessuna?
Per quel che riguarda l’Inter, probabilmente è più giusto parlare di sospensione del giudizio, visti e considerati gli antefatti che hanno portato a questo derby della Madunina. Che è stato la prima partita della versione 2.0 dell’Inter targata Roberto Mancini, tecnico arrivato in un venerdì che si preannunciava tranquillo e che invece si è rivelato elettrico per via della clamorosa (ma non troppo, forse) decisione di giubilare Walter Mazzarri e di riaffidare l’Inter all’allenatore jesino: una scossa importante, un ribaltone deciso a stagione già iniziata ma non ad un punto tale da considerarla buttata via. L’arrivo di un mister che qui ha già vinto parecchio e ha lasciato un bel ricordo tra i tifosi che immediatamente si sono galvanizzati all’annuncio del ritorno del Mancio, nel tentativo di dimenticare in fretta la pagina mazzarriana e mandando al diavolo eventuali scaramanzie sui ‘cavalli di ritorno’.
Mancini ha optato subito per la terapia d’urto, cercando fin da subito di applicare le sue idee di gioco in una squadra che negli ultimi anni era abituata a ben altri schemi; nessun approccio soft, del resto la situazione di questa Inter ancora convalescente richiedeva trattamenti più rapidi ed efficaci. Largo quindi alla difesa a 4, con Nemanja Vidic grande escluso, e con Mateo Kovacic schierato inizialmente largo sulla sinistra. Non tutto è andato proprio benissimo, perché comunque qualche affanno la retroguardia lo ha vissuto e il croato è apparso spaesato, ma in quel modo Mancini ha voluto mandare già un primo segnale in chiave mercato quando ha spiegato che in quel ruolo non ci sono in rosa giocatori adatti e quindi si dovranno fare sacrifici per un po’. Però è anche vero che si è vista un’Inter decisamente meno remissiva e più vogliosa di fare gioco, e che chissà, forse ai punti avrebbe meritato qualcosa in più rispetto ai rossoneri. Comunque, per quello che è stato il lavoro di soli cinque giorni a ranghi compatti, Mancini si può ritenere soddisfatto, anche se le prove contro Dnipro e Roma daranno indicazioni ancora più precise sulle effettive velleità di questo gruppo. Insomma, la macchina manciniana è in moto: non sarà una Ferrari, siamo sicuri che non sarà nemmeno una 500; probabilmente visti i tempi e il percorso accidentato di questa stagione, l’ideale sarebbe vederla avvicinarsi ad un fuoristrada.
Rimane innegabile, comunque, che sia per l’Inter che per il Milan ci sia ancora tantissimo da lavorare. Milano che nell’immaginario nazionalpopolare ha sempre fatto del lavoro la propria ragione dell’esistenza, la “Milano che fatica” cantata da Lucio Dalla, questa volta sembra però trovarsi di fronte ad una fatica incredibile, se vuole sperare di riprendersi quei piani alti del calcio che le competono. E il tutto, senza nemmeno un Benfica all’orizzonte che possa consolare, visto che la Champions League appare oggi un traguardo lontano per entrambe…