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Mourinho ha avuto ragione

di Alessandro Cavasinni

Nessun alibi, soltanto due livelli diversi di discorso. Perché non è detto che le due questioni non possano convivere. Anzi, spesso accade proprio questo: quando i risultati non arrivano, ecco anche la mannaia delle clamorose sviste arbitrali. Quindi stavolta non sarò qui a parlarvi degli errori di Mancini (non gradisco questo 4-3-3 sfilacciato che costringe Eder e Palacio a sfiancarsi), delle colpe di Handanovic (ma possibile che con Fiorentina e Juve finisca sempre così?), della mollezza di Brozovic (forza ragazzo, un po' di grinta!), dell'evanescenza di Icardi (perché non protegge più un pallone che sia uno?) o delle scelte di mercato (AAA centrocampisti cercasi). No. Stavolta il dato è troppo evidente per soprassedere, e ovviamente mi riferisco ai danni causati dagli abbagli arbitrali e alla conseguente gestione mediatica del club nerazzurro.

L'Italia non è un Paese per... muti. Il silenzio stampa non funzionerà mai come arma di protesta. Qui siamo abituati alle parole, piaccia o meno. Non sarà elegante, ma questo è il football nostrano. E chi sta in silenzio, perde due volte. Perde perché non si difende (e un club come l'Inter non può raccattare in giro altri difensori che non siano se stesso) e perde perché non rappresenta il proprio tifo pubblicamente dopo batoste come quelle del Franchi.

L'Italia non è l'Inghilterra, tanto per restare nel paragone tanto caro a Mister Mancini. Qui c'è tutta una logica diversa e portare alla luce il proprio punto di vista, con forza e ostinazione, paga sempre. Quantomeno, paga molto di più del silenzio stampa. E, in ogni caso, appaga i tifosi, già ampiamente frustrati dalle scelte avverse dei fischietti. Ascoltare le recriminazioni alla tv nel dopogara e leggere le proteste sui giornali e sui siti è appagante per chi ama una squadra. Perché c'è una sorta di rappresentanza politica, che magari altri club hanno già naturalmente. L'Inter no.

Quest'anno, senza girarci tanto attorno, di problemi a Medel e compagni i fischietti ne hanno causati, e pure svariati. A partire proprio dalla gara di andata contro la Fiorentina, esattamente un girone fa. Già lì si sarebbe dovuto porre l'attenzione adeguata, ma così non fu. Poi Palermo, Bologna, Napoli e via fino al derby e poi a domenica sera.

Il solo Mancini ha “osato” sollevare il problema di tanto in tanto. Prima in modo sfuggente, poi elegante, poi è sbottato. Talvolta il ds Ausilio. Troppo poco. L'opinione pubblica conta assai dalle nostre parti, e i condizionamenti si traducono spesso in punti in classifica. Basti pensare alla recente storia di Felipe Melo, costretto al cambio contro il Verona dopo un primo tempo assolutamente normale.

La società Inter dovrebbe “sfruttare” queste serate storte degli arbitri per evidenziarne gli errori (come si fa pure con i propri giocatori, chiaramente) e sostenere le proprie ragioni. Nessuno agirà al posto suo. E così, alla prossima partita, tutti in campo felici e contenti come se nulla fosse mai accaduto. E il Medel di turno sarà di nuovo ammonito per proteste all'11' (11' minuto del primo tempo!). Roba che uno come Bonucci, con tale metro di giudizio, non finirebbe mai una partita.

Perché ci sono errori ed errori. Perché quando Alex scalcia Icardi che sta concludendo in porta da cinque metri, ti danno rigore ma non lo ammoniscono (lui che era già ammonito) e quando Telles prende il pallone netto, vedono fallo e addirittura lo ammoniscono per la seconda volta, allora ti accorgi che qualcosa non va.

Pensate che José Mourinho fosse un dilettante? Oppure che fosse un novello Don Chisciotte? Lui ha vinto tutto anche e soprattutto perché dedicava ore di studio a questi dettagli. Piccoli mattoni che poi, alla lunga, portano punti. Magari le sue vibranti proteste non hanno attratto le simpatie della classe arbitrale verso i colori nerazzurri, ma certamente hanno compattato l'ambiente. Un fronte unico società-squadra-tifosi che portava a dare il 200% in ogni situazione. Vincendo derby in doppia inferiorità numerica e con rigori a sfavore, per esempio. Oppure resistere al Barcellona spaziale, al Camp Nou e con l'uomo in meno. Non tutti, anzi nessuno è Mourinho. Però il tentativo va fatto. Perché Mourinho ha avuto ragione.


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