Non è l'Inter in ritardo, ma l'Italia
Il portiere, l'attaccante (o gli attaccanti), il sesto centrocampista, le seconde linee... l'Inter ha un problema: a poco più di venti giorni dal fischio d'inizio della stagione 2023/24, alla squadra di Simone Inzaghi manca la squadra. A mancare sono non solo sostituzioni ed eventuali 'plus', bensì gli elementi cardine di quella che dovrebbe e dovrà essere la seconda forza del campionato, quantomeno dalle griglie di partenza. Un ritardo che, a due settimane dal caos Lukaku, non sembra essersi ridotto, anzi... La mancanza dei grandi pedoni da posizionare alle estremità del campo semina svariate preoccupazioni nel mondo nerazzurro, non lasciando grandi possibilità di godere a pieno di questi primi sprazzi di Inter stagionale vista fino a questo momento. Due allenamenti congiunti contro Lugano e Pergolettese e un'amichevole contro l'Al-Nassr, troppo poco per assaporare davvero qualche boccone della nascente rosa di Inzaghi, che al netto degli avversari e della prematurità nel voler trarre qualche primo giudizio, resta ancora intrappolata nel caos dell'ampio cantiere aperto del quale è vittima e dal quale dipende.
Una situazione che però spaventa tutti fuorché gli addetti ai lavori che di questo momento di stallo stanno facendo tesoro. Ordine di idee e messe a punto di strategie che, una volta affinate, dovranno rendere all'allenatore piacentino l'organico con il quale lanciarsi in questa terza sfida (interista), per portare a casa la tanto agognata seconda stella almeno. Al di fuori del The Corner la preoccupazione è palpabile e talvolta esageratamente dibattuta e come spesso accade anche e soprattutto a livello mediatico. Una trepidazione differente rispetto alle attività elettrica cardiache registrate tra i corridoi di Viale della Liberazione 18, dove con estrema calma i dirigenti stanno continuando a tessere la tela dell'Inter che sarà, tenendo chiaramente conto di tutte quelle varie ed eventuali ampiamente non comprese dall'esterno e semmai perlopiù fortemente criticate.
E mentre Marotta, Ausilio e Baccin intrecciano gli infiniti fili del grande arazzo chiamato mercato, intrecciati tra sostenibilità, opportunità da cogliere, e competitività da mantenere, nel bel mezzo di un palcoscenico senza grandi acclami del pubblico ma con tanti occhi critici puntati, il calcio italiano si riscopre infinitamente vulnerabile e mai così debole. La proposta congiunta di Italia e Turchia per ospitare in comunione l'Europeo 2032 è solo l'ultimo degli elementi che scoprono definitivamente un nervo più che scoperto, logorato, sciorinando ai quattro venti l'inadeguatezza strutturale, politica e istituzionale di un sistema che fa acqua da tutte le parti e che, volendo escludere strane congetture politicamente sospettabili, mette nero su bianco la decadenza socio-politica non solo di un settore, ma di un intero Paese. Se è vero che il calcio è lo specchio della società mai come oggi il quadro davanti è tanto preoccupante: dalla convinzione di riuscire a battere ogni tipo di concorrenza al passo indietro e 'allenza' con la rivale pur di partecipare al banchetto che mette l'Italia allo stesso livello di Nazioncine (con i dovuti rispetti, nessuno si offenda) quali Belgio, Olanda, Svizzera, Austria, Polonia, Ucraina... Tutti Paesi, oggettivamente, più 'leggeri' sotto vari punti di vista rispetto al 'Bel Paese' che bello non è più. Una pensata che trova entusiasmo solo tra i promotori e che, al di là della gravità politico-sociale calcistica di cui si riveste assume una connotazione ulteriormente imbarazzante volendo considerare il Paese in questione al quale l'Italia sta tendendo e stringendo la mano: la Turchia, Paese che rivaleggiava per l'organizzazione del torneo e ora si ritrova a braccetto con l'Italia. Ma soprattutto un Paese dal quadro politico piuttosto delicato. La terra di Erdogan, presidente notoriamente conosciuto per le posizioni tutt'altro che democratiche ed eticamente sostenibili con il quale, a quanto pare, ben riesce a dialogare il Governo italiano, sempre più in basso in termini civili, morali, etici e umani, a volerla dire tutta. Una linea che d'altro canto sembra non dispiacere le istituzioni calcistiche che dopo Supercoppa e grandi rapporti stretti nel tempo con il Medio Oriente compie un altro passo verso la coerenza. Con tanto di benedizione al 'respect' tanto sbandierato, ma solo come slogan, della UEFA.
Un modello perfettamente in linea con le vicissitudini nazionali insomma che però conferma la teoria secondo la quale non è l'Inter ad essere in ritardo, ma, ahinoi, l'Italia intera.