Non più cronisti, ma bottegai
di Alessandro Cavasinni
L'azienda, fondata a Londra nel 2015, si è assicurata i diritti-tv per trasmettere la Serie A sconvolgendo lo status quo che vedeva SKY imperante. Ma all'appuntamento si è arrivati ancora in fase sperimentale, quando invece si sarebbe dovuti essere pronti a trasmettere gli eventi senza alcun intoppo. Tra la rotellina del buffering, la perdita del segnale e la riduzione della qualità dell'immagine fino a far apparire sullo schermo non un match del 2021 ma un videogame del Commodore 16, la situazione è presto diventata insostenibile.
E le cose non vanno meglio neppure quando poi la partita si vede in HD, perché è lì che vengono a galla i limiti del racconto calcistico. Non si parla, chiaramente, solo di DAZN, ma della quasi totalità di telecronache, trasmissioni di "approfondimento" e salotti vari. Durante le partite, è ormai triste consuetudine l'urlaccio urticante: si urla sempre, anche per un fallo laterale. La modulazione della voce non va di pari passo con quanto accade in campo, storpiando totalmente la narrazione. I commenti, poi, sono quasi peggiori della telecronaca: nel 99% dei casi sono meri belati dietro al risultato del momento. Una squadra soffre le pene dell'inferno per 89 minuti e poi trova il gol vincente al 90'? Tutto dimenticato, e via con una lunga sequela di luoghi comuni sul carattere, il cinismo, la forza del gruppo. E gli altri? Quelli che fin lì avevano fatto un partitone? Oblio. Irritanti pure le lunghe storielle collaterali, quelle che vanno dai racconti di quando tizio era un pargolo alle parole dette il giorno prima in conferenza stampa. Racconti buoni per riempire i momenti morti di un match, non certo da snocciolare durante azioni promettenti. E non aiutano gli zoom selvaggi della regia (dagli allenatori ai tifosi fino agli scarpini di chi è in possesso palla!), che destabilizzano il telespettatore nei momenti chiave di un'azione di gioco. Il livello si abbassa ulteriormente quando ci si accorge del differente approccio tra gare di campionato e gare di coppe europee. Nel primo caso, l'indirizzo è parecchio democristiano: si fa molta attenzione a non scontentare una delle due parti, anche quando il risultato è di 6-0 (in fondo sono tutti clienti...). Nel secondo caso, invece, si arriva a lambire e talvolta a travalicare i limiti della partigianeria, rivendicando in modo molto poco professionale una passione smodata per i colori "di casa". Non che non ci possa essere un trasporto diverso, può essere fisiologico, ma questo non può giustificare lo sconfinamento nel tifo da bar (basti pensare ai giudizi che si danno sull'operato arbitrale tra partite di Serie A e partite di coppe europee). L'analisi del gioco, quindi, risulta parecchio ridotta, quasi inesistente. Non a caso negli anni si è venuta a creare nei telespettatori una cultura non da appassionati di calcio, ma da fanatici col paraocchi.
Mancano le figure che spieghino e che ti facciano apprezzare questo sport nelle sue sfumature tecnico-tattiche, mentre si è pieni di esaltati, egocentrici e venditori. Nel migliore dei casi incompetenti, nel peggiore leccaculo. Non più cronisti, ma bottegai. Si vende un prodotto, non lo si apprezza. Non c'è passione, solo profitto. È una tv al servizio del calcio o il calcio al servizio della tv?
"You wore a shirt of violent green, uh-huh. I couldn't understand. I never understood, don't fuck with me, uh-huh." (R.E.M., What's the Frequency, Kenneth?, 1994)
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