Nostalgia dei banditi in campo
“A me piacciono i duri. I bravi ragazzi vanno bene per farli sposare alle figlie”. La sentenza porta la firma di Corrado Orrico, sfortunato e dimissionario allenatore dell'Inter nella stagione 1991/92. Il tecnico toscano si riferiva alla necessità di avere in campo gente tosta, con faccia, squardo e temperamento tale da incutere timore all'avversario ancor prima del fischio di inizio delle partite. I più anziani ricorderanno, ad esempio, i cosiddetti angeli dalla faccia sporca, alias Umberto Maschio, Omar Sivori e Valentin Angelillo, fuoriclasse argentini che era meglio avere amici che avversari e non solo per le immense qualità tecniche.
Con la partenza degli ultimi eroi del Triplete, l'Inter ha purtroppo perso questa prerogativa, la squadra non ha cattiveria agonistica. Nella rosa nerazzurra fatichiamo a individuare l'elemento con il ghigno cattivo che conficchi metaforicamente in campo il cartello con su scritto: “Sciò, alla larga”. Nell'Inter attuale abbondano invece i bravi ragazzi che piacciono a mamme e nonne. Ma che non vanno bene ad esempio per intimorire un po' il Wolfsburg nella gara del dentro o fuori, da rimontare, giocata giovedì scorso a San Siro. Il tabellino parla di un solo ammonito, Medel, alla fine del secondo tempo. Ma anche il nostro Pitbull sembra la versione mansueta della celeberrima razza canina.
Nel calcio, prestazioni positive o negative, vittorie o sconfitte, giocate pregevoli o errori grossolani, non dipendono solo dallo spessore tecnico degli interessati. Ma anche dalla voglia, dalla personalità, dalla cattiveria che ti porta subito in soccorso del compagno in difficoltà, anche se il compagno in questione non è amico nella vita. In campo, però, c'è quella maglia a unirti, quella causa da difendere, quell'obiettivo da raggiungere. L'Inter di Mourinho non era la squadra più forte d'Europa nella stagione 2009/2010. Però quel branco di “piranha”, guidati da uno “squalo”, azzannò mortalmente tutto quello che si aggirava nelle vicinanze fino alla magica notte di Madrid. Maicon, Samuel, Lucio, Materazzi, Cambiasso, Sneijder, Milito... Citiamo qualche nostro angelo dalla faccia sporca, qualche nostro pirata del tempo. Mettevano paura agli altri, trasmettevano tranquillità a noi che li accompagnavamo nella caccia alla preda.
E anche l'Inter del primo Mancio aveva portato a casa scudetti e coppe grazie al temperamento. Ibrahimovic, Vieira, Crespo, ancora Materazzi... ma contro questi dove pensavano di scappare gli altri? Affrontare l'Inter era, per gli avversari, come andare all'esecuzione. Rassegnati in partenza. E anche uno che “cattivo” per indole non era, il capitano Javier Zanetti, lo avremmo visto bene con la benda sull'occhio o con il dente aguzzo. Ah, maledetta nostalgia.
Ora, come scritto prima, vestono la maglia dell'Inter dei bravi giovani, puliti, con il colletto in ordine, la riga da una parte e il sorriso stampato sul viso. Non sono scarsi come qualcuno si ostina a ripetere dopo le sconfitte. Andrea Ranocchia ad esempio, uno dei più messi in croce soprattutto dopo l'errore letale di Napoli in Coppa Italia, ha un piede e un'eleganza di movimento che non hanno nulla da invidiare a colleghi di difesa che lo precedono di trenta punti in classifica. Ma il nostro ha quello sguardo mansueto che troppo spesso svela eventuali debolezze e sofferenze, quelli là invece guardano dritto, sempre, nascondono e ripartono.
La stessa sterilità in attacco, nonostante l'ottima stagione di Icardi, è a mio avviso figlia di un modo di stare in campo troppo educato e poco sanguigno. Quando si entra nell'area di rigore avversaria, i giocatori dovrebbero avere voglia di “spaccare la porta”. Avete presente il signor Carlos Tevez detto l'Apache a Dortmund e domenica scorsa contro il Genoa? La faccia che non promette nulla di buono, segnata come un frequentatore dei peggiori bar di Caracas, la corsa frenetica, la botta violenta di chi ha ancora fame nonostante una carriera e un palmares già da primo della classe. Sembra che dopo il gol ai rossoblù liguri, il pallone si sia spaccato a metà. Ecco cosa vorremmo vedere noi dai ragazzi in maglia nerazzurra.
E invece i pur bravi Icardi, Palacio, Sahqiri e lo stesso Podolski, che non può essere diventato improvvisamente un brocco, sembra che per contratto debbano prima espletare una serie di intermanabili preliminari prima di tentare di metterla in buca. Ma così il più delle volte si fa cilecca e il godimento (loro e nostro) latita. Anche in panchina desidererei più ardore. Se non ricordo male, il primo Roberto Mancini targato Inter stava sempre in piedi, incitando e urlando. Il Mancini 2.0 rimane seduto, solo ogni tanto si alza per fornire indicazioni, come un perfetto manager della Premier, per poi sbuffare dopo le sconfitte che stanno diventando una noiosa e pericolosa abitudine.
No, così non va. Nella sua storia l'Inter ha avuto rose più scarse di questa che galleggia al decimo posto di un campionato non certo competitivo come in passato, ma non sono mai mancate spina dorsale, grinta e ardore. Ridateci i banditi in campo! I bravi ragazzi vanno bene per farli sposare alle figlie.