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Obbligo o fallimento: Marotta e Allegri giocano lo scudetto su un campo da tennis

di Mattia Zangari

Approfittando della pausa dei campionati di calcio, il tennis si è proposto come sport nazionale in Italia per una settimana circa. Merito di un fenomeno come Jannik Sinner, che ha portato la bandiera tricolore fino al secondo gradino del podio alle ATP Finals di Torino, arrendendosi solo in finale al mostro che si incontra nei videogiochi dal nome Novak Djokovic, tenuto in vita nel torneo proprio dal 2001 di San Candido con la vittoria su Holger Rune dopo il trionfo nei gironi. Altro che biscottone, come se ne sono visti tanti nel calcio, un mondo in cui si palleggia per rifiutare la patente dei favoriti in una determinata competizione. Un meccanismo di protezione, un paracadute all’eventuale impatto doloroso col fallimento, parola che quando un pallone non rotola nella porta avversaria viene sguainata per trafiggere i vinti. Meglio, allora, dire che l’altro è avvantaggiato o più forte, così da non finire nel tritacarne in caso di insuccesso, che se poi ti va bene è comunque vera gloria.

Dalle ATP Finals alla Serie A il passo è breve, se è vero che sui due lati opposti del campo Beppe Marotta e Massimiliano Allegri da settimane stanno giocando una partita virtuale di tennis, in cui la pallina di colore verde-bianco-rosso scudetto viene sballottata da una parte all’altra della rete come si fa durante il riscaldamento, quando nessuno vuole far davvero sul serio. Il derby d’Italia non sarà decisivo per la lotta tricolore, ce lo diranno tutti i protagonisti nelle prossime ore, ma nessuno può negare che sia tornato ad essere scontro diretto per la prima posizione come non si vedeva dal 9 marzo 2020, quando in un Allianz Stadium svuotato dalla pandemia di Covid-19 la Juve tornò padrona del campionato distaccando di nove punti, seppur con una partita in più, la truppa di Antonio Conte e scavalcando la Lazio di Simone Inzaghi. Da quella partita surreale, giocata in un periodo che tentiamo di rimuovere dalle nostre menti, è passata un’eternità, e come ovvio che sia sono cambiate tante cose. I bianconeri, per esempio, dopo aver dominato in lungo in largo per nove anni di fila in ambito nazionale, dopo quella stagione hanno raccolto la miseria di una Coppa Italia e di una Supercoppa italiana, due quarti posti faticosi, un quinto posto per colpa di una penalizzazione, oltre ad alcune figuracce assortite in Champions.

Dall’altro lato, la Beneamata, dopo aver riassaporato il gusto di vincere la Serie A, con Inzaghi si è tolta la soddisfazione di alzare al cielo il doppio delle coppe nazionali della Vecchia Signora, battendola tra l’altro in due finali concluse ai supplementari, e, soprattutto, di arrivare a 90’ dalla vittoria in Champions. Traguardo che Max Allegri ha sfiorato due volte, ma con un’altra Juve, ben più forte di quella che guida ora e per la quale ha fissato come obiettivo massimo la top 4: "L’importante allontanarsi dal quinto posto", va spesso ripetendo il tecnico livornese. Probabilmente un’esagerazione visto ciò che è successo nel primo terzo di campionato, tanto da spingere l’ad Marotta a spostare la sua ex squadra nella griglia scudetto dalla zona Champions fino al primo posto: "Dico che la Juventus è favorita nel medio-lungo periodo perché non giocando le competizioni europee dà la possibilità di organizzare gli allenamenti e di avere meno stress agonistico quindi sulla carta meno infortuni, di conseguenza il vantaggio c’è". 

Chi ha ragione? Impossibile dirlo, ma non è neanche questo il vero punto. Parliamo, infatti, di due squadre che, per motivi diversi, nelle ultime due stagioni hanno lasciato lo scettro a Milan e Napoli, non certo le più accreditate per arrivare davanti a tutti. Lasciando da parte la carte, i pronostici, che valgono quello che valgono, Inter e Juve devono accettare il peso che comporta essere in piena corsa per il titolo, senza che questo implichi l’obbligo di vincere che va a braccetto col fallimento in caso di arrivo al secondo posto, magari per un solo punticino. Qui bisognerebbe imparare la lezione che ci ha lasciato il post partita di Sinner vs Djokovic, scolpendo le loro dichiarazioni nella pietra e accompagnandole con la parola 'sportività'. Quando c'è quest'ultima è più facile accettare il verdetto del campo, che per fortuna dice sempre la verità al contrario di quanto fanno quelli che gli girano intorno. 

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Domenica 15 dicembre