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Oggi come dieci anni fa

di Daniele Alfieri

"Corsi e ricorsi" avrebbe detto Giambattista Vico, storico, filosofo e tifoso del Napoli, riferendosi al calcio e ai mille richiami alla sua teoria degli editorialisti sportivi. Esattamente dieci anni fa la 'prima' Inter di Mancini aveva guadagnato 18 punti. Cosa è cambiato da allora: la Juve, leggiamo dalla classifica alla nona della stagione 2005-2006, capolista a punteggio pieno a quota 27. Poi il Milan con 22 punti, la Fiorentina a 19 e quarti e con lo stesso bottino di oggi i nerazzurri. La Roma, battendo proprio l'Inter 3-2 a San Siro, arrivava appena a 12 punti, il Napoli dilagava sì, ma in Serie C1. Gerarchie dunque stravolte tranne per la formazione del Mancio, che anche nell'estate che precedeva i Mondiali di Germania aveva dato il via alla sua rivoluzione con gli arrivi di Samuel, Figo, Maxwell e Pizarro. Anche in quell'anno la squadra era ancora alla ricerca della quadratura perfetta per far fruttare al meglio una rosa che puntava ai piani alti. Sappiamo anche come andò a finire. Juve retrocessa in B (insieme alla sua reputazione) e il primo degli scudetti del ciclo d'oro da sistemare nella bacheca dei trofei di San Siro. Ora immaginare un epilogo così nefasto per i sogni di rimonta agnelliani risultebbe eccessivo, ma attenti a demolire sin da adesso il lucido progetto di Mancini, screditando così tutto il lavoro di Vico. È in gioco anche la credibilità di statistici e matematici del pallone.

La vera Inter è chiamata all’appello in queste cinque settimane, chiuse dalla sfida del San Paolo del prossimo 30 novembre, quando di fronte ci saranno Mancini e Sarri, il manager di mondo contro il mister di provincia, la giacca contro la tuta. A trasferte da non prendere sottogamba come quella di oggi con il Bologna e la successiva in programma fra due domeniche contro il Torino si intrecciano gli esami da grande contro una Roma più solida e concreta rispetto agli anni passati e un Napoli devastante sia in trasferta che in quel "cesso" di stadio per dirla come il suo presidente. Da lì vedremo se sarà possibile pronunciare la parola magica di cui tutti hanno paura (non è Voldermort) o se bisogna cedere il passo alle "più accreditate". Intanto il fieno messo in cascina per l'inverno sta finendo e occorre subito procurarsene dall'altro già dal match di questa sera contro la terzultima della classe, un ostacolo tutt'altro che insormontabile per chi vuole e deve ambire ai vertici in campionato. Il match del Dall'Ara potrebbe essere un'occasione preziosissima per Ljajic, rallentato dall'infortunio dopo le prove più che convincenti con la propria Nazionale e che se lanciato titolare proprio davanti a un amico di vecchia data come Delio Rossi avrebbe la chance di dimostrare che con indosso la maglia di una big può ancora dire la sua, anche se a cazzotti non ci sa fare. Ma i riflettori saranno puntati soprattuto su Mauro Icardi, a cui serve sbloccarsi per zittire le critiche di quest'ultimo periodo. Ad oggi sono solo due i centri messi a segno da Maurito, lo scorso anno invece erano cinque, ma di questi ben due erano stati realizzati su calcio di rigore e i restanti tre nel 7-0 casalingo contro il Sassuolo. Siamo sicuri che a quest'Inter manchino proprio i gol dell'argentino? L'intesa, l'adattamento dei nuovi arrivi, la ricerca sfrenata del modulo giusto, quando i valori sono presenti è questione di tempo. Mancini ha corso il rischio stravolgendo ancora in estate la sua creatura, ma dovrà essere bravo a non attardarsi nel forgiarla. Perché l'Inter sulla carta ha poco da invidiare sia a chi le sta davanti che a chi rimane dietro però è un cavallo vincente o a chi per tornare in alto si aggrapperebbe anche ai non fenomeni delle minusvalenze.


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