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Però, niente male questo calcio anni '60

di Fabio Costantino

I giochi di luce al termine della partita, uniti ai sorrisi dei giocatori nerazzurri, dello staff, della dirigenza e del presidente Zhang, sono il più degno epilogo di questa missione arabica per riportare la Supercoppa Italiana nella bacheca nerazzurra, accoppiandola a quella della scorsa stagione e alle altre 5 più datate. Vincere un trofeo è bello, vincerlo in un derby è stupendo, vincerlo 3-0 senza lasciare neanche le briciole agli avversari è fantastico. E possiamo dirlo, gli zeru tituli saranno una questione altrui perché l'Inter ha portato a casa il primo obiettivo stagionale. 

Difficile trovare il migliore tra i nerazzurri, tutti hanno contribuito in maniera determinante facendo esattamente quello che hanno nelle proprie corde, mettendolo a disposizione del collettivo. Ne è emersa una prestazione robusta, di forte compattezza dietro e di significativa qualità nella metà campo avversaria. Un derby vinto 3-0, considerando anche le polemiche dei precedenti e un atteggiamento quasi da bulletto della tifoseria rossonera dopo lo scudetto del maggio scorso (Calhanoglu lo sa benissimo, e non è l'unico che ha mandato frecciate), non può che condurre a una significativa goduria tutto il popolo interista. L'Inter ha finalmente mostrato il suo vero volto nella stracittadina, mancato colpevolmente in altri precedenti (fatto salvo il rotondo 3-0 in Coppa Italia). Non ha mai staccato la spina, ha concesso poco alle ambizioni rossonere e ha chiuso la pratica con i tempi e i modi giusti.

A tratti, soprattutto nel primo tempo, onorando la EA Sports che marchia quest'anno il trofeo, i ragazzi di Inzaghi sembravano guidati da un joypad, dentro un videogioco più che su un rettangolo verde. Roba da stropicciarsi gli occhi. E chi ha tacciato il gioco nerazzurro da anni '60 probabilmente non ha ben chiara la differenza tra il calcio dell'epoca e quello proposto dall'Inter attuale e probabilmente neanche questi 100 minuti del King Fahd Stadium gli avranno fatto cambiare idea. Anche perché le partite, prima di commentarle, bisognerebbe guardarle.

A proposito di chi sproloquia. Arrigo Sacchi avrà visto il derby? Probabilmente sì, e sarà andato a dormire di cattivo umore perché il suo Milan non ha opposto resistenza all'Inter, superiore sotto tutti i punti di vista. Eppure l'ex CT aveva sostenuto alla vigilia che "l’Inter la trama non ce l’ha, punta quasi tutto sul tatticismo. Inzaghi è in tutto e per tutto un tattico, uno che gioca sull’errore dell’avversario". Davvero? Ne sarà ancora convinto dopo aver visto il 3-0 in Supercoppa? La soluzione è una è l'ha indicata Inzaghi alla vigilia: fregarsene di ciò che viene detto, senza usare troppi giri di parole.

Quarto trofeo nell'era Zhang (quarta Supercoppa dell'insuperabile Inzaghi), al netto delle enormi difficoltà finanziarie in cui versa il club. E il prossimo, virtualmente, deve essere il rinnovo di Skriniar. Ieri lo slovacco non ha sollevato la coppa al momento della premiazione, lasciando il proscenio al capitano storico, Handanovic, ma sarebbe quasi un reato impedirgli di alzare al cielo i trofei che l'Inter vincerà negli anni a venire. In serate come questa ci si rende conto dell'importanza di certi calciatori, che va oltre le loro qualità tecniche o tattiche. Skriniar è uno dei leader, tanti, che popolano lo spogliatoio nerazzurro. Tra questi ce n'è uno estremamente vincente, quel Lautaro che non ha più posto sul muro di casa per le foto mentre bacia una coppa, anche ieri determinante alla sua maniera. E poi c'è quel Dimarco, che a Milano come cartolina non porterà solo il suo sinistro che spalanca le porte del trionfo all'Inter, ma la posa da capo ultrà con tanto di megafono dal campo: perfetto anello di congiunzione con tutti i tifosi nel mondo.


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