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Programmare (ora) per ripartire (dopo)

di Giulia Bassi

Ci sono alcune considerazioni che si intrecciano in questo momento in cui il calcio, lo sport, le attività tutte, il mondo sono come in una bolla, nel mezzo di una sospensione spazio-temporale che non ci lascia ancora modo di capire come e quando torneremo a far scorrere le lancette dell'orologio biologoco della quotidianità e dell'essenzialità. La prima è che non si può avere fretta e non ci possiamo permettere di sbagliare i calcoli.

"Il momento che stiamo attraversando è turbolento, ma offre anche un'opportunità unica di sistemare ciò che nel sistema è sbagliato, recuperando una dimensione più umana", ha detto Giorgio Armani in una riflessione che punta il dito contro "l'avidità per il profitto" per poi dirsi certo che "usciti da questo incubo, ci sarà una grande voglia di bellezza, ma anche di logica".

Ecco, la logica, appunto. Il più logico argomento di chi si iscrive al partito che vuole far ripartire a tutti i costi il campionato è quello secondo cui con il coronavirus bisogna imparare a convivere. Perché, tra l'altro, probabilmente, potrebbe essere protagonista di un ritorno, di una seconda ondata autunnale. E siccome non si può rimanere fermi fino a che non si trovi un vaccino o fino alla scomparsa totale dei contagi (che chissà se e quando avverrà), serve iniziare a pensare alle contromisure. Vero. Ma terminare in fretta e furia questa stagione non è la stessa cosa che provare a pianificare al meglio la prossima.

Un conto è tornare in campo a maggio o giugno, con le incognite e le incertezze date da un intero Paese che in quel periodo proverà a rimettersi in piedi. Per cui banalmente potremmo anche osservare che allora risorse, test, controlli, verifiche, messe in sicurezza e dispositivi vadano concentrati e destinati ai lavoratori che proveranno a salvare imprese, economia e futuro piuttosto che ai calciatori e ai loro staff desiderosi di lottare per uno scudetto o una qualificazione europea nel silenzio di uno stadio che ancora non può essere affollato.

La commissione medica della Figc ha compilato un protocollo destinato al governo contenente le disposizioni per la ripresa in sicurezza di allenamenti e partite. Ritiri blindati per tre settimane, possibilità di giocare al centro-sud, monitoraggio costante per garantire la totale negativizzazione dei gruppi, sanificazioni di strutture sportive, hotel, stadi, mezzi di trasporto. Tutto questo in un contesto fatto di contatti, sudore, sforzo fisico.

Ovvio che si debba sperimentare, proprio da maggio, per provare a capire come si vive in un mondo diverso e come si lavora nel modo più sicuro possibile. Semplicemente: il calcio potrebbe mettersi in coda. Lasciare che chi inizierà la fase di sperimentazione veda gli sforzi e il monitoraggio concentrati su di sé. Non partiamo tutti alla cieca. Partiamo piano, valutiamo. Prima le attività essenziali, poi le altre.

Probabilmente la cosiddetta fase 2 vedrà una ripresa scaglionata delle attività (non tutte dunque, perché il calcio dovrebbe dunque essere tra quelle che ripartono?) e differenziata a seconda delle zone e di come hanno vissuto il contagio. E' una questione di priorità. Ma anche, volendo pensarci bene, di opportunità. Il calcio intero sta pensando a come portare a termine questa stagione: perché non pensare a come programmare, invece, la prossima?

Tornare in campo vorrebbe dire inserirsi in un frullatore incerto e sperimentale e onestamente preferisco vedere tamponi e test fatti su chi continua a lavorare in un ospedale o su chi ricomincia a frequentare una fabbrica piuttosto che su calciatori che provano ad allenarsi a un metro di distanza. Considerazione banale sì: banale quasi quanto dire che la salute viene prima di tutto eppure abbiamo scoperto che è veramente così.

Tornare in campo vorrebbe dire chiedere uno sforzo fisico che necessita di una nuova preparazione dopo un lungo stop e di una resistenza alle temperature estive oltre che a un calendario serrato. Ovvia la conclusione su quanto si alzi il rischio infortuni. Giocare vorrebbe dire dover rivedere contratti che scadono e rischiare di affidarsi a giocatori che potrebbero anche non dare il 100% in un finale di stagione serrato e confuso, magari perché distratti dalle solite sirene di mercato o semplicemente da una stagione che non per tutti continuerebbe ad avere lo stesso significato e gli stessi stimoli.

Giocare vorrebbe dire terminare la stagione 2019/2020 ad agosto inoltrato per poi iniziare quella 2020/2021 praticamente subito. E va ricordato che l'estate del 2021 sarà anche quella degli Europei già rimandati quest'anno e dunque la prossima stagione prevede paletti e scadenze su cui non si può lavorare. Perché dunque non utilizzare lo scorcio di questa annata disgraziata per pianificare la prossima? Pensando alle strutture in cui i giocatori si alleneranno e dove alloggeranno, sanificando stadi, impianti e palestre (tutte cose immediate e già a disposizione di alcuni club ma non di altri) in un tempo che non coincida con la ripresa tentanta, probabilmente a metà maggio, dal tessuto socio-economico del Paese. E avendo alle spalle qualche utile mese di sperimentazione fatta proprio dalle attività produttive che ci potrà anche dire qualcosa sull'andamento del contagio una volta allentata la rigida morsa del lockdown.

Il mondo del calcio non si interroghi solo sulle possibili soluzioni per giocare ora: pensi ai possibili vantaggi derivati da una ripartenza lenta ma ben studiata e che nel frattempo avrà lasciato spazi ad altre priorità. Ci si rivede in campo a luglio sì, ma con la possibilità di prepararsi al meglio. Magari iniziando prima il mercato per farlo terminare anche prima di agosto così, come ogni allenatore sogna, le squadre si potrebbero ritrovare ormai già al completo in estate e lavorare a pieno regime e con organici definitivi. Perché tutti avremo voglia di bellezza ma avremo, anzi abbiamo già, anche un disperato bisogno di logica.


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