Retrogusto amarognolo
Partite come quella di sabato sera, sommata al ritorno di Coppa Italia con la Juventus, lasciano in bocca un gusto amaro come il fiele. Sì, d’accordo; ben giocate. Sì, d’accordo; ad un passo dall’impresa. Sì, d’accordo; cuore e palle oltre l’ostacolo. Eppure, nonostante le prestazioni, a mente fredda riesco ad incazzarmi come un istrice ripensando al film di questo campionato.
Partiamo lancia in resta, alla conquista del Sacro Graal. Il cammino è impervio, la strada si inerpica su percorsi sconosciuti. Ma le difficoltà non sembrano spaventarci. Per circa tre mesi viviamo alla giornata ma sembriamo aver raggiunto una consapevolezza ed una fiducia in noi stessi che mi riportavano con la memoria a Inter vincenti e molto più gloriose di questa. Sembriamo ho scritto: perché inspiegabilmente, proprio quando il Graal sembrava lì, ad un passo, ci siamo ritrovati sperduti in lande desolate, lontano da tutti e da tutto. E, per aggiungere offesa alla disgrazia, con la sfiga cosmica che circonda da sempre i perdenti cronici attaccata alle caviglie. Così, se fino a qualche giorno prima eravamo i novelli re Mida del campionato italiota, ci siamo trasformati in tanti Michael Collins, l’uomo che rimase sul modulo di comando dell’Apollo 11 e non mise mai piede sulla luna. Insomma, ma quando mai ti capita di andare sulla luna nel corso della vita? Allo stesso modo; quante volte ti capita di avere una squadra decisamente meno forte di altre due o tre e di essere in discreto vantaggio su queste salvo poi rovinare tutto?
Ovvio, siamo a marzo e la caccia all’untore sta per riaprirsi. Tra un paio di mesi la stagione nostrana terminerà e tireremo le somme. Con gli anti manciniani sistemati a guisa di gufetti allegri sui rami degli alberi intorno ad Appiano. Perché così si potrà parlare male dell’allenatore jesino. Reo di capacità di marketing fuori dal comune, reo di aver vinto soltanto tredici trofei in tredici anni da allenatore, reo di non aver condotto l’armata Brancaleone ereditata dalle precedenti gestioni alla conquista dell’agognato titolo. Pur avendo avuto a disposizioni capitali illimitati. Eh, il Mancio aveva detto ad inizio anno che l’obiettivo era il campionato o quantomeno la CL. Tranquilli, non importa se le parole esatte erano: l’Inter deve sempre partire per vincere il campionato. E neppure se c’erano perlomeno tre formazioni sulla carta superiori a noi. Sempre lui lo disse. Non importa neanche se, citiamo ancora Mancini ma lasciamo stare e continuiamo a raccontare le favole, aspettiamo marzo per vedere dove siamo e da quel momento cominciamo a fare i conti.
Ora, la critica mi piace. Quando ha un senso. Quando è costruttiva. Quando è suffragata da fatti e non da luoghi comuni da bar sport del paesello tagliato fuori da tutto, elettricità, gas ed acqua compresi. Non la reggo, chiedo scusa ma è più forte di me, quando è dettata da ancestrale antipatia, da manie di grandezza, da smania di sputare nel piatto dove si mangia ogni fine settimana. Perché allora, se per caso ci capita di segnare e di tanto in tanto ci capita, se si è coerenti si evita di festeggiare, si cambia canale, si gioca a Risiko o si va a mangiare una pizza. Ci sono un mucchio di attività secondarie da poter svolgere quando gioca l’Inter.
Allora, eravamo rimasti alla grande partenza. Ed a quel percorso sconosciuto ed impervio che ci stava portando verso la tanto agognata meta. Il tutto, sia chiaro, costruito con enorme abnegazione da chi scendeva in campo. Col sacrificio di tutti, pronti ad aiutarsi l’un l’altro come da migliore tradizione. Nonostante gli errori da attribuirsi al tecnico; che errori ne ha fatti. E continua a farne, perché è umano e non una sorta di divinità o feticcio da adorare.
Or dunque, improvvisamente, i nostri eroi si fermano. Si bloccano. Non corrono. Si imbrocchiscono oltre ogni ragionevole dubbio. E Mancini, dal canto suo, cerca di governare la barca come meglio pensa sia possibile. La lite con Jovetic è di pubblico dominio, dubito che il montenegrino continuerà la sua avventura in nerazzurro nella prossima stagione. Ma le altre voci, gli altri spifferi di nulla, raccontano davvero una situazione non rispondente alla realtà. Che è quella, non lo dico io ma me lo racconta direttamente chi Appiano Gentile lo vive giorno dopo giorno, di una situazione serena, con tutte le prerogative che questo comporta. Perché nella vita di comunità succede di litigare o di prendersi di petto. Sono, siamo, umani; non feticci o divinità da adorare. Giusto perché forse qualcuno crede che lo siano.
Mancini timona, dicevamo. Non lo fa bene. Il fuoco incrociato che lo investe lo riporta ad un calcio che non è più il suo. E sbaglia qualche mossa. Sia in campo che fuori. Ma una cosa corretta la fa: prende chiaramente di petto i suoi giocatori. Che non solo non reagiscono, e bravi, ma forse si sentono pure offesi. Sicché si buttano via punti ed occasioni. Orrori, errori, distrazioni non giustificabili per dei professionisti; ma l’allenatore è il capo, le colpe sono sue.
La Società sbotta; e dopo Torino Piero Ausilio si incazza. Ma di brutto. Guarda caso se la prende coi calciatori. Mancini no. Lui resterà anche il prossimo anno (a meno di offerte irrinunciabili provenienti dall’estero). Insomma, una vera e propria conferma del tecnico e colpe specifiche a chi va in campo. Guarda caso, da quella sera tutti ricominciano a correre. Di brutto. Fino a sfinirsi. Tipo contro la Roma.
Sì. Vero. E allora io, ignorante calcisticamente, come posso non pensare; e se avessero ricominciato a correre prima? E se non fossero andati in vacanza per un mese e mezzo? Ma no, questo non si può pensare. Cambiamo allenatore. Magari arriva qualche grande promessa che verrà fischiata e derisa dopo un mese senza vittorie.
Altro che retrogusto amarognolo.
Ah, per ricordare; prima stagione di Mancini all’Inter, 17 pareggi. Così, per rinfrescare la memoria.
Amatela. Sempre.
E buona settimana a Voi!