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Riflessioni sparse sulla cantera: l'Inter come un trampolino di lancio? Il caso Hakimi

di Mattia Zangari

E' finita in semifinale, poco dopo le 20.30 di domenica 27 giugno, la più strana delle stagioni vissute dall'Inter Primavera. Un viaggio inaugurato quasi dieci mesi prima da un gol di Sebastiano Esposito alla Sampdoria, la squadra che al traguardo della regular season si è rivelata la migliore del campionato. In quell'afoso pomeriggio di settembre, la stellina classe 2002 brillò per l'ultima volta a livello di Settore giovanile perché di lì a pochi giorni si sarebbe trasferito alla Spal, in Serie B, per esaudire il sogno di giocare tra i professionisti assieme al fratello Salvatore. Una scelta rivelatasi sbagliata a posteriori, come ammise lo stesso Espo in una lettera scritta prima di fare le valigie per trasferirsi a Venezia: "Ti amo fratello mio, solo tu sai quanto posso esserci stato male. Ma la vita è questa: ti dà e ti toglie. Grazie per esserci sempre". Sei mesi di carriera bruciati sono un'eternità per un ragazzo abituato a battere tutti i record di precocità che, per una serie di fortunati eventi, è riuscito comunque a ritirare il premio di consolazione con i lagunari festeggiando la promozione in Serie A da attore non protagonista. Due centri in 19 presenze e la miseria di 7' giocati nei playoff sono la fotografia delle difficoltà incontrate nel calcio dei grandi dal 2002 di Castellamare di Stabia, che pure da 17enne era riuscito a ritagliarsi un po' di spazio nella prima squadra nerazzurra, addirittura in Champions, risultando decisivo nel 2-0 rifilato al Dortmund a San Siro. Indimenticabile il primo gol in Serie A contro il Genoa, segnato su rigore gentilmente concesso dall'amico Romelu Lukaku, con il quale fece commuovere la mamma a bordocampo. Sprazzi di talento di un ragazzo sempre fuori categoria, esempio pratico di giocatore che cammina pericolosamente sul labile confine tra plusvalenza e risorsa. D'altronde, per molti tifosi, il campionato Primavera 1 è una semplice domanda: questo giovane giocherà nella nostra squadra del cuore o verrà ceduto per sistemare il bilancio del club?

In mezzo a queste due alternative, ci sono mille  altre sfumature come testimoniato dal percorso di Esposito, che è diverso da quello di qualsiasi altro ragazzo: per intenderci, non lo si può paragonare a quello di Andrea Pinamonti o Nicolò Zaniolo, per citare due casi di specie. Il primo, dopo aver scaldato la panchina nella gestione Spalletti, è andato a farsi le ossa con un anno di ritardo prima al Frosinone e poi al Genoa. Tornando a Milano certamente più maturo ma per interpretare il ruolo di figurante nella cavalcata scudetto. Il secondo, compagno di Pina e vero trascinatore di quell'Under 19 che costrinse il City di Foden ai rigori agli ottavi di Youth League, è stato sacrificato sull'altare del mercato nello scambio che ha portato Radja Nainggolan in nerazzurro. Storia nota, spesso romanzata per trovare un colpevole come se la vita fosse un libro giallo. Inutile dire che ogni scelta, prima di essere definita giusta o sbagliata, debba essere contestualizzata, calata nel momento in cui viene presa. Quell'Inter aveva più bisogno del Ninja che del promettente Nicolò per tornare in Champions League, il primo passo obbligatorio per costruire una squadra competitiva in questa fase storica in cui vige la legge del Fair Play Finanziario. L'Inter, come è sempre accaduto, è andata avanti lo stesso arrivando a vincere lo scudetto, guarda caso, senza l'uno né l'altro. Il che dimostra che fermarsi a contare rimpianti senza avere una visione d'insieme è tempo perso oppure un esercizio fine a se stesso per riempire tv e giornali. Succede, così facendo, che a Euro 2020 l'esercito dei Pessina, Locatelli e Schick sia così mediaticamente forte che sia impossible sconfiggerlo con le armi del ragionamento. L'obiettivo non è informare ma confondere il lettore, mischiando il piano tecnico-tattico con quello economico. E' più facile parlare di beffa o poca lungimiranza di questo o quel dirigente che andare in profondità con l'analisi. I filosofi del giorno dopo si moltiplicano a dismisura in questi casi, pronti a puntare il dito anche a tre anni di distanza, rinfacciando una prestazione o un gol di un determinato calciatore ceduto per i più svariati motivi.

Eppure, ne è pieno il mondo di calciatori che hanno trovato la loro perfetta dimensione lontano da casa, una volta reciso definitivamente il cordone ombelicale: Achraf Hakimi, non a caso, è esploso a chilometri di distanza da Valdebebas, migliorato dal grande lavoro fatto al Borussia Dortmund. In quel biennio, il laterale marocchino ha accresciuto il suo valore in campo e, di rimando, anche sul mercato, tanto che l'Inter la scorsa estate non ha esitato a spendere 43 milioni di euro per assicurarselo proprio dai blancos. Che, per salvare le apparenze, si sono riservati all'atto della cessione il diritto di poter pareggiare un'eventuale futura offerta di un altro club per riportarlo alla base. Un canale preferenziale che non ha ragione di esistere quando entra in scena la concorrenza sleale del Paris Saint-Germain che, dopo un anno di Inter, si è presentato al tavolo delle trattative con un'offerta vicina ai 70 milioni di euro per comprarlo. Un altro canterano perso dall'Inter, questa volta con l'attenuante che non è cresciuto nel florido vivaio guidato da Roberto Samaden. Resta la maxi-plusvalenza, che peraltro Suning non potrà reinvestire, e quella frustrante sensazione di aver valorizzato un giocatore per un club più ricco. Non conta quanto sia lungo il salto, l'Inter – per Hakimi e tanti suoi fratelli - sembra essere diventata un trampolino di lancio perfetto per atterrare altrove. In questo caso al Parco dei Principi, nel grande prato verde dove (non) nascono le speranze che si chiamano ragazzi (degli altri club). Lì troverà Gigio Donnarumma, un prodotto del Settore giovanile del Milan che non ce l'ha fatta a essere Paolo Maldini perché voleva uscire dalla sua comfort zone. Storie completamente diverse che tra qualche mese finiranno per essere mischiate con il solo scopo di accentuare il sentimento di inferiorità del nostro calcio rispetto a quello dei potenti. Milano quest'estate sembra troppo piccola, quasi una provincia, ma l'incompetenza non c'entra: questo è bene dirlo in anticipo per mettersi al riparo dalla pioggia di critiche prevista in autunno. 


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