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Sacchi di vergogna

di Alessandro Cavasinni

“Il calcio italiano è tornato a splendere grazie alla Juventus dopo anni bui. Erano cinque anni, dal successo dell'Inter del 2010, che non succedeva. Ma in quel caso i nerazzurri trionfarono senza neppure un italiano: una vergogna! Pur di vincere, saremmo disposti a vendere perfino l'anima al diavolo. Anche il Real Madrid, che comunque vince, utilizza calciatori spagnoli. Noi no, a noi piace vincere così! Mi auguro che la Juve vinca giocando da protagonista”. Con queste parole, Arrigo Sacchi ha insistito sulla falsariga di quell'uscita spiacevole di qualche tempo fa, quando attaccò i settori giovanili nei club nostrani – e in particolare ancora l'Inter – rei, a suo dire, di utilizzare fin troppi stranieri e giocatori di colore. Insomma, non è la prima volta che l'ex Ct della Nazionale sfoggia un pensiero piuttosto ardito. Ardito, anacronistico e, oseremmo dire, anche pericoloso.

E' francamente inconcepibile come un personaggio pubblico di tale levatura non si renda conto del peso che possano avere queste frasi dal malcelato odore di razzismo. Molto più dei cori da stadio, molto più degli sfottò tra tifoserie che restano disgustosi, ma rientrano in un background folcloristico che ha radici lontane e viene accettato (ahimè) come normale presa in giro.

Le parole di Sacchi – e dello stuolo di opinionisti che sventuratamente gli ha dato ragione – sono allarmanti. E non fanno altro che rispecchiare il momento storico del nostro Paese, aggrovigliato tra crisi d'identità e isterismi xenofobi. C'è davvero bisogno di contaminare anche il calcio con questi squallidi retropensieri?

Qualche annotazione in ordine sparso.

L'Inter del Triplete aveva in rosa i seguenti italiani: Toldo, Orlandoni, Materazzi, Donati, Santon e Balotelli. Se poi ne vogliamo fare una questione di origini e di sangue, allora a loro si possono aggiungere i vari Zanetti, Thiago Motta, Cambiasso e Milito, tutti figli di migranti.

E allora ci viene in mente, per dire, il Milan stagione 1992-1993, quando gli stranieri inseribili in distinta erano ancora solo tre. Ecco, Capello poteva disporre di ben sei non-italiani: Boban, Gullit, Rijkaard, Savicevic, Papin e Van Basten. Al contempo, l'Inter di Bagnoli contava sui soli Shalimov, Sosa, Pancev e Sammer (poi ceduto a gennaio). Insomma, se c'è un club in Italia che ha dato il via al mercato degli stranieri, questo non è altro che il Milan di quel Silvio Berlusconi che Sacchi tanto ama e idolatra. Quello stesso Berlusconi che poteva offrire già al tempo ingaggi superlusso anche a panchinari e riserve, mentre le altre di A continuavano a gestirsi in maniera morigerata. Ma questo Sacchi non lo dice perché non può dirlo o non vuole dirlo.

Tutto ciò per tacere delle vere ragioni per cui ci sono tanti stranieri anche nei settori giovanili, e non solo in Serie A. Perché tutti sanno che, a parità di bravura, un calciatore estero il più delle volte viene a costare molto meno di uno italiano. Di mezzo ci sono discorsi complicati, visto che qui in Italia il business-calcio comincia già nei Pulcini, con tante persone che mangiano la torta. E' un sistema marcio, e non lo scopriamo certo adesso.

E soprattutto: qual è il reale problema di avere tanti stranieri in rosa? Sacchi – e chi gli dà ragione – vorrebbe forse dire che a causa di ciò c'è la mancata crescita di calciatori italiani? Punto primo: il club non è la Nazionale e non ha alcun obbligo verso di essa. Il club deve pensare solo ai propri risultati e quindi puntare sui migliori, non per forza sugli indigeni. Punto secondo: l'Inter è uno dei club dal cui settore giovanile sono usciti i migliori talenti nostrani. E' sufficiente guardare quanti dei canterani nerazzurri giocano stabilmente in club di A o anche all'estero. Punto terzo: esiste un regolamento e a quello ci si deve attenere. L'Inter del Triplete commise qualcosa di illegale? No. Stop.

E' imbarazzante, nel 2015, dover puntualizzare determinate questioni. Ci si aspetterebbe una maturità e un'intelligenza maggiori dopo anni di esperienza e progresso. Al contrario, l'impressione è che il processo involutivo sia sempre dietro l'angolo, pronto a reprimere ogni sforzo compiuto per migliorare la situazione generale del nostro vissuto quotidiano. E restiamo sommersi da tanti piccoli sacchi di vergogna. Quella vera.


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