San Darmian e Handanovic da infarto: perché l'Inter è l'Inter
Ogni impresa ha il suo eroe e spesso gli eroi possono essere anche più di uno. E quando una squadra si avvicina, lo scriviamo sì, allo scudetto i meriti sono tanti. Partendo dalla società, passando per i dirigenti e arrivando all'allenatore e ai suoi giocatori. Sui meriti di Antonio Conte ci sarà tutto il tempo di soffermarsi perché il suo lavoro sulla mentalità e sul rendimento dei nerazzurri sono qualcosa di straordinario e non banale. Su quelli dei giocatori si possono fare già tante considerazioni. E negli ultimi metri prima del traguardo spunta l'anti-eroe per eccellenza: Matteo Darmian, che dopo il gol da tre punti contro il Cagliari ne sfodera un altro contro il Verona che di punti forse ne vale anche di più.
Non è stata bella ma nemmeno brutta l'Inter vista contro un Hellas spensierato, arrivato a San Siro senza ansie da classifica e che ha giocato a viso aperto, accettando gli uno contro uno e non limitandosi alla fase difensiva, anzi. I ragazzi di Juric hanno giocato a viso aperto e senza timori, “rincuorati” da una condizione fisica che non permette più all'Inter di essere devastante nelle ripartenze come in altri momenti della stagione quando transizione spesso faceva rima con occasione da gol.
Un'Inter si diceva non bella, perché ha faticato e sofferto, persino rischiato. Ma nemmeno brutta perché se dopo pochi secondi Lautaro lanciato davanti al portiere avesse segnato parleremmo di altro, così come se la bordata su punizione di Hakimi fosse stata baciata dalla sorte anziché finire alla voce "quinto palo in tre partite". Ma parleremmo di altro anche se un tiro di Di Marco fosse stato più preciso o il fallo di Faraoni su Handanovic non fosse stato fischiato. Li chiamano episodi e il calcio è fatto soprattutto di quelli. Nelle ultime due uscite, coincise con due pareggi, l'Inter li ha avuti spesso a sfavore, gli episodi, compreso un rigore non fischiato a Lautaro contro lo Spezia.
Episodi a parte il calo dell’Inter c'è e la fatica si sente. Manca quella brillantezza e precisione che altre volte hanno consentito ai nerazzurri di fare un percorso netto. Conte schiera quasi sempre gli stessi titolari e questo conferma (come nella parte finale della scorsa Europa League) che una volta trovata la quadra il tecnico non si cambia più, soprattutto nei momenti decisivi. Ma questo significa anche subire l'affanno di qualcuno: contro il Verona il centrocampo è stato in apnea per buona parte della gara, i due attaccanti non hanno la precisione dei tempi migliori ma per 90 minuti continuano a fare un lavoro insostituibile e prezioso.
Regge bene la difesa, dove merita un discorso a parte il portiere e capitano Samir Handanovic: sulle sue qualità si discute da sempre ma ultimamente sembra essere stato colpito dal malocchio proprio nel momento in cui il destino è pronto a risarcirlo per i tanti anni passati a difendere i pali nerazzurri senza lo straccio di un trofeo. Che presto alzerà, a culminare una carriera che un titolo prestigioso comunque lo merita: lui che è stato l'erede silenzioso e dignitoso della fascia di Icardi, lui che spesso l'Inter l'ha tirata letteralmente fuori dai guai, lui che quando sbaglia tende a farlo in maniera evidente, senza mezze misure: dai miracoli alle papere. Un po' come l'Inter, o tutto o niente, o tanto o troppo poco, o vittorie epiche o sconfitte tragicomiche.
L'Inter di Conte, però, per quanto stanca e "messa in ansia" da un obiettivo sempre più vicino, sa quello che devo fare e spesso trova il modo di farlo: contro il Verona è mancato cinismo sotto porta (come contro lo Spezia) ma soprattutto rapidità nelle ripartenze, visto che l'Hellas di spazio ne ha concesso. E' mancata a volte la giocata individuale, tranne quando il pallone finiva dalle parti di Hakimi, il migliore della gara per pericolosità, occasioni, velocità e capacità di inventarsi sempre qualcosa. Il suo sesto assist stagionale per Darmian vale come e più di un gol e certifica l'importanza e anche un po' l'anomalia, in senso positivo, del lavoro dei "quinti" nelle squadre di Conte: come contro il Cagliari, altra vittoria sofferta dal retrogusto tricolore, il gol-vittoria è arrivato sulla sponda Hakimi-Darmian, un esterno per l'altro, perché gli esterni di Conte sono, in fase offensiva, quasi attaccanti puri.
Ma se il marocchino sta rendendo esattamente per quelle che erano le aspettative, l’ex Torino e Parma si sta rivelando sempre di più la quintessenza dell’interismo: tipico giocatore “Contiano”, Darmian ormai non sorprende più perché ha sorpreso per tutta la stagione e nelle ultime settimane ha trovato i gol che lo consegneranno tra le grazie dei tifosi, nell’Olimpo degli eroi gentili e normali, quelli che risolvono problemi ed evitano drammi psicologici o ulteriori sofferenze.
Peccato poi, o per fortuna, che la quintessenza dell’interismo stia anche in quell’uscita disgraziata di Handanovic che avrebbe potuto, dovuto, glielo ha gridato chiunque, alzare le braccia, essere più deciso e sicuro, alzare il ginocchio e travolgere tutto come insegna la buona e vecchia scuola e invece no, Handa quasi incerto e con le mani tremanti, ha aggiunto un immancabile capitolo al romanzo interista: quello che ti fa rischiare l’infarto, ti fa trattenere il respiro, ti fa maledire il giorno in cui hai sposato quei due colori lì, folli e indecifrabili. E viene da pensare che Handa incerto e con le mani tremanti potrebbe esserlo anche quando sarà chiamato a sollevare il trofeo che vorrà dire riscatto, ritorno, rinascita in uno di quei capitoli del romanzo che non ti stancheresti mai di leggere.
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