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Se i Moratti tifano Pisapia

di Alessandro Cavasinni

"A Milano c'è voglia di cambiamento". Con queste parole Massimo Moratti ha parlato poco prima dell'esito finale delle elezioni amministrative del capoluogo lombardo. Una volontà, evidentemente, meglio interpretata da Giuliano Pisapia, che ha stracciato la concorrenza del sindaco uscente, la signora Letizia Brichetto Arnaboldi coniugata Moratti. "Chi porta idee nuove, trasmette passione e sa entrare in sintonia con la gente", aveva detto il presidente dell'Inter intervistato dal Corriere della Sera, sancendo come il candidato sindaco di centrosinistra abbia saputo "intercettare il vento. Giuliano mi sembra una persona perbene: si rivolge a tutti e incarna i valori e la tradizione della borghesia milanese. La sua natura non lo porta a posizioni estreme". Poi l'affondo alla fazione del rivale calcistico Silvio Berlusconi: "Non hanno capito i milanesi. La gente ragiona con la propria testa. Risponde con la libertà e non sulla base di scelte calate dall'alto. Pisapia ha dato un bel messaggio, mentre gli altri offrivano solamente degli optional. Ma i milanesi preferiscono la sostanza".

Una bella settimana per il patron dell'Inter, tra la settima Coppa Italia messa in bacheca ai danni del Palermo e la sconfitta politica di Berlusconi, appena tornato in auge sulla scena pallonara per il fresco tricolore rossonero. Una doppia soddisfazione nemmeno troppo ben celata dai Moratti, anche perché la moglie Milly non ha mai mancato di ribadire le sue simpatie politiche. All'uscita dall'Olimpico, dopo il 3-1 sul Palermo, siamo stati testimoni di una dimostrazione concreta dell'attaccamento della famiglia Moratti alla politica: la signora Milly e il secondogenito Giovanni (detto 'Gigio') si sono sentiti dire dalla folla nerazzurra un corposo "Forza Pisapia!", e loro, di rimando, hanno esultato alla grande.

Riversando il discorso sul versante calcistico, potremmo dire che il tentativo del presidente del Consiglio di sfruttare l'onda lunga dello Scudetto milanista anche in politica non è che abbia funzionato un granché. "Faremo diventare Milano vincente com'è stato vincente il Milan" è una frase ormai tristemente nota, tanto quanto quella che così recitava in una lettera inviata dall'Aimc (Associazione italiana Milan club) a tutti i propri tesserati in prossimità dell'ultima tornata elettorale: "Fare di Milano una città sempre all'altezza della nostra straordinaria squadra di calcio!!! Forza Milan!". Dove comincia il calcio e dove finisce la politica? Probabilmente non lo sapremo mai, in un Paese in cui il tifo calcistico ha contaminato quello che tifo non dovrebbe mai essere, ma che lo è diventato rapidamente. Perché qui in Italia, ormai, in politica si tifa e non ci si confronta. Ci si insulta e non si dialoga. Si distrugge e non si costruisce. Il calcio è lo specchio fedele del nostro Belpaese: doping, gare truccate (ieri, oggi e, probabilmente, domani), scommesse. Un legame stretto, strettissimo. Un legame a doppio filo.

Come pensare che tutto ciò non si rifletta sulla Res Publica? Non si può, infatti. A Milano c'è voglia di cambiamento? Certo. Ma non solo a Milano.


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