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Si cambi (chi può)

di Daniele Alfieri

Non è servita nemmeno la pausa per schiarire le idee a Simone Inzaghi, né per ridarci la vera Inter. E in quest'ultima analisi ci troviamo proprio in disaccordo con l'opposto parere del tecnico, secondo cui la sconfitta di San Siro con la Roma sarebbe stata "la nostra miglior partita stagionale", o ancora "ho rivisto la mia Inter, quella dell'anno scorso". I nerazzurri lungo l'arco dei 90 minuti hanno tirato in porta due volte, la prima con un colpo di testa centrale di Lautaro su cross da punizione, la seconda trovando il gol con Dimarco, nell'unica azione discreta dell'intera partita (e qui siamo addirittura d'accordo con Sacchi). Nel mezzo altri tredici tentativi che hanno tenuto inoperoso Rui Patricio, inclusa la traversa su punizione di Calhanoglu e il brivido sul destro da fuori area di Asllani. L'Inter dello scorso anno creava raffiche di occasioni riuscendo a capitalizzarne solo una parte, quella di questa stagione ripete il copione in maniera meccanica, assonnata e assonnante, priva di fantasia, a parte brevi lampi di risveglio come quello del vantaggio. È vero, la squadra, il modulo, gli uomini sono rimasti gli stessi. E se fosse proprio questo il nocciolo della questione?

Si è già parlato dell'addio di Perisic, sottovalutato in termini di contributo in campo, di energia e dell'esempio di abnegazione che il croato riusciva evidentemente a trasmettere anche alla squadra, ma ovviamente non può essere il solo motivo per cui l'Inter, dopo un'estate paradossalmente meno turbolenta di quella segnata dalle tre partenze di Conte, Hakimi e Lukaku, continui a precipitare partita dopo partita, in trasferta e adesso pure in casa, senza dare segnali ottimistici di una possibile risalita in vista dei prossimi impegni. Dall'altra parte Mourinho, 60 anni da compiere il prossimo gennaio, eppure il vate di Setubal non ha mai avuto paura di evolversi, aggiornarsi, rivoluzionare. Dall'uso strabiliante dei social, con tanto di stories in diretta dal pullman mentre i suoi giocavano a San Siro, alla trasformazione dei moduli e degli uomini, con l'unica eccezione dello scudiero Matic. L'anno scorso la sua Roma contro l'Inter aveva perso tre gare su tre, le due di campionato e nei quarti di Coppa Italia. Tre match senza storia per un semplice motivo: quella Roma contro l'Inter non funzionava. Troppo ampio a quei tempi il divario, tecnico e di mentalità, fra le due squadre. La soluzione? Quella di chi sa riconoscere i propri problemi e li supera con intelligenza: cambiare.

La Roma di San Siro è scesa in campo con un tridente atipico: fuori per la prima volta in campionato Abraham, anche se il 9 era rimasto a riposo con la sua Inghilterra, Dybala è partito largo dalla destra, Zaniolo si è sistemato a sinistra e Pellegrini ha giocato facendo il falso nueve. Nel mezzo il filtro di Matic e Cristante, in difesa la gabbia di Mancini, Smalling e Ibanez per Lautaro (in campo sia contro Giamaica che contro Honduras) e Dzeko. Un solo calo di concentrazione in occasione del vantaggio di Dimarco, all'interno di una partita letta in maniera perfetta. I tiri nello specchio sono stati tre e Handanovic, come ha ricordato Inzaghi, non ha fatto nemmeno una parata: lo abbiamo notato tutti, ma dal nostro punto di vista non è un complimento per lo sloveno. La quarta sconfitta in otto gare significa che l'Inter perde una un match su due, come ai tempi di Gasperini, di cui Moratti non digeriva la difesa a tre. L'Inter di oggi gioca con lo stesso modulo e gli stessi uomini da più di un anno, ma ha smesso di funzionare. Un'altra stagione è passata e il portiere, oramai 38enne, ha perso altri punti abilità, se ne sono accorti persino alla EA Sports quando hanno aggiornato le valutazioni per FIFA 23.

La soluzione in casa c'è e si chiama Onana, per il resto dovrà pensarci l'allenatore dato che, come insegna anche Adani, nel calcio le idee invecchiano presto, così come gli stimoli, se non le rinnovi. Ma se il responsabile principale non vede nemmeno l'abisso ed è contento così della sua "migliore" Inter, difficilmente assisteremo a grandi rivoluzioni negli interpreti in campo e negli schemi. E se i risultati continueranno a essere questi, le responsabilità passeranno poi senz'altro ai dirigenti e alla società. Si cambi, chi può.


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