Te lo do io l'Azerbaigian
Ormai diventa sempre più difficile trovare aggettivi e commenti nuovi ad una storia che continua a ripetersi, senza soluzione di continuità. Passano gli anni, gli allenatori, anche presidenti e proprietari, ma puntualmente si finisce col ricadere sempre sulle stesse argomentazioni: l’Inter perde, l’Inter annaspa in classifica, l’Inter non riesce a trovare la luce in fondo al tunnel; l’Inter, insomma, non ha un gioco, peggio, non ha un’identità. E come detto, diventa difficile commentare tutto questo senza correre il rischio di cadere quasi nella banalità. Verrebbe voglia di fare come colui che, vero o falso che sia, di fronte al tema: ‘Che cos’è il coraggio?’, decise di scrivere: ‘Il coraggio per me è questo’ per due volte su tutto il foglio, ai bordi di un grande spazio bianco. Ecco, appunto, uno spazio bianco: l’Inter di questa stagione è immersa dentro un enorme spazio bianco, un perenne senso di impotenza che affligge gli uomini con la maglia ormai più nera che azzurra fin quasi a sfociare nella catatonia.
Ci si era illusi tutti, o quasi, all’inizio della stagione, quando, nemmeno senza eccessi di positivismo sfrenato, si riteneva questa squadra idonea ad ambire alle posizioni di vertice, facendo il salto di qualità dopo un’annata un po’ così dove comunque l’obiettivo minimo era stato raggiunto. La realtà, però, fino a questo momento si è dimostrata essere ben altra: tutti contenti fino ad un certo punto per il mercato estivo, dove però qualche nota stonata si cominciava perlomeno a sentire. Alla lunga, è venuta fuori l’inadeguatezza della rosa in sé, allestita in maniera disomogenea e troppo sull'imprinting, come d’altronde in quel momento forse era giusto che fosse, degli schemi e intenzioni di gioco di Walter Mazzarri, che però non ha ottenuto le risposte volute e alla fine ha pagato la carestia di risultati con l’allontanamento. Il suo successore, Roberto Mancini, ha cercato sin da subito di resettare tutto imponendo le proprie idee. Ma era impossibile aspettarsi una reattività al cambiamento pari a quella dimostrata, per dire, dai tedeschi nel passaggio dal marco dall’euro, avvenuto in un giorno solo mentre l’Italia a suo tempo si prese tre mesi di adattamento. Anzi, questa scelta ha avuto un altro tipo di effetto: ha acuito le incongruenze dell’organico interista fin quasi alle estreme conseguenze.
Quanto visto domenica contro l’Udinese forse sintetizza bene il tutto: bello quanto illusorio il primo tempo, dove finalmente si era vista una squadra con almeno un’idea di gioco, in grado di tenere sempre le redini del discorso pur concretizzando poco almeno fino al gol di Mauro Icardi. L’Udinese sembrava timida, in realtà ha giocato al gatto col topo. E come nella ripresa ha iniziato a mettere fuori la testa, ecco che l’Inter è andata clamorosamente in tilt, un corto circuito che ha avuto anche sfoghi imbarazzanti, soprattutto in difesa dove Bruno Fernandes, Thereau e compagnia hanno imperversato come più gradivano. Con Mancini che assiste quasi impotente a questo tracollo senza riuscire a trovare anche solo un abbozzo di contromossa, affidandosi solo nei secondi finali a D’Ambrosio in luogo del claudicante Dodò e al tenero Bonazzoli, la cui entrata di piombo su Bruno Fernandes dopo pochi secondi dal suo ingresso testimonia forse tutta la frustrazione per la serata davvero da psicodramma vissuta da tutta l’Inter, con Samir Handanovic che si è ritrovato a gestire l’ultimo pallone giocabile. In area udinese…
L’Inter non è una grande squadra, forse lo sapevano tutti all’interno di questo gruppo ma nessuno voleva farlo credere. Ed è simbolico come a sbattere la realtà in faccia, anche a costo di sembrare la versione moderna di Monsieur Lapalisse, sia Mateo Kovacic, il giocatore forse più talentuoso della squadra (e uno di quelli dal futuro più discusso, vale la pena ricordarlo), ma anche e soprattutto uno dei più giovani dell’intera rosa. Significativo che sia lui a metterci la faccia, ma anche improvvido, e sotto certi aspetti, inquietante arrivare a queste conclusioni, anche se dette a caldo, dopo settimane di proclami importanti all’ottimismo e dichiarazioni di rilancio sicuro e immediato. Forse i più cinici si lanceranno nel gioco del: “L’avevo detto io”, i più catastrofici arriveranno a paventare il rischio retrocessione, ma al di là di iperboli varie, la realtà è una: il lavoro che attende Mancini, bontà sua, è durissimo, e rimane da capire se le eventuali garanzie chieste sul mercato al momento di accettare di tornare alla guida dell’Inter resteranno sulla carta oppure si concretizzeranno, visti anche gli spigoli della questione Fair Play Finanziario.
Ogni volta si parla di partita del rilancio e ogni volta ogni attesa è rimasta disillusa; adesso, però, quella contro il Chievo di lunedì e poi l’ultima sfida del 2014 contro la Lazio sembrano quasi le partite dell’ultima spiaggia, per capire se l’Inter ha i mezzi per poter tentare la risalita di questa parete ripidissima oppure è destinata a sprofondare sempre più nel grigiore. Prima, però, ci sarà l’ultimo impegno di Europa League, quello contro il Qarabag: un intermezzo in quella che sin qui è stata sin qui l’unica oasi di tranquillità per i nerazzurri, già qualificati e sicuri del primo posto del girone. Sarà quindi una gara dove avrà spazio chi sin qui ha giocato meno, come ammesso anche dallo stesso tecnico, e pertanto sarà una gara dalle indicazioni relative, qualunque sia il risultato perché è esercizio facile, si può dirlo già adesso, tirare in ballo fattori come motivazioni ed entusiasmo.
Ma sarebbe un peccato non sfruttare la trasferta nel lontano Azerbaigian come un’occasione per dare un segnale anche minimo di riscossa, al di là del valore assoluto dell’incontro. In tempi di vacche magre come questi, ogni partita va sfruttata al meglio per ritrovare serenità, così come è compito dei giocatori evitare di prendere sottogamba l’incontro perché nuovi cali di concentrazione sarebbero peccati mortali, specie al cospetto di un avversario che pure a San Siro quando ha potuto ha fatto anche il suo gioco; in attesa di capire se a gennaio arriveranno questi benedetti ritocchi.