Tra caldo, freddo, montagne, deserto, PSG e Ibra, il diario da Marrakech. Il racconto di un viaggio meraviglioso
Fonte: Dall'inviato a Marrakech (Marocco)
Raccontare, emozionare (o tentare di farlo, sarebbe il traguardo più bello) ed emozionarsi. Scrivere, fare domande, imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, valorizzando ciò che si fa di positivo e ripartire dai propri errori. Qualche semplice motivo che fa di questo mestiere uno dei più belli al mondo. Seguire, commentare, analizzare la passione di una vita, quello che avresti voluto diventasse il tuo lavoro, ma che la sfortuna ha deciso di farlo rimanere solo un semplice sogno. Numerose sfumature dell'essere giornalista, anche se probabilmente l'aspetto più bello, quello con più adrenalina, si chiama 'bagagli, sveglia presto, volare, spostarsi e raggiungere la meta'. In una parola: viaggio. Per questo la trasferta di Marrakech la porterò per sempre con me. Prendere l'aereo, cambiare nazione e continente per seguire la squadra amata da milioni di tifosi nel mondo, cercando di aggiornare nel modo migliore chi non vede l'ora di sapere ciò che accade a migliaia di chilometri di distanza. Tutto questo mi rende felice. Semplicemente. Tre giorni in Marocco per raccontare il pre e post Paris Saint Germain-Inter, avendo la possibilità di entrare in contatto con nuove culture e ammirare posti meravigliosi. Passare dai pochi gradi sopra lo zero del mattino e della sera ai 25-26° del giorno. Forse pochi motivi, ma quanto basta per dire e pensare che 'non vedo già l'ora della prossima volta', nonostante non sia ancora rientrato in Italia.
Sveglia presto, Erba-Milano di primissima mattina tra la nebbia dell'autostrada e qualche sbadiglio pericoloso, e volo per questa splendida città. Appena atterro al 'Marrakech-Menara' noto già l'attesa del popolo marocchino per questa amichevole di lusso, anche se i più acclamati e desiderati sono i giocatori del PSG. Riassunto di un'Inter che non è più quella di qualche anno fa, e il cartellone pubblicitario che mi 'accoglie' all'arrivo spiega tanto: in primo piano Ibrahimovic e Ranocchia, simboli dell'Inter che fu e di quella che è ancora in costruzione, che per tornare l'armata di un tempo deve ancora fare tanta strada. La stessa che collega l'aeroporto a 'Palmeraie', la grande e bellissima zona riservata ai tanti hotel e a un grande, immenso campo da golf utilizzato anche dai professionisti, dove campeggiano grandi cartelloni che pubblicizzano il match con i soli giocatori francesi protagonisti. In mezzo a qualche scoria della finale del Mondiale per Club tra Real Madrid e San Lorenzo de Almagro, per l'Inter poco spazio: in città il più acclamato dagli interisti locali è Juan Jesus, oltre ovviamente Roberto Mancini.
Le persone di Marrakech sono tutte gentili: cordiali, educate e disponibili (con i taxisti rapporto ormai a cadenza regolare di minuto in minuto, considerando le tre sedute di allenamento della squadra, la partita e i vari spostamenti), ma proprio prima del match - amando particolarmente l'attività fisica - decido di fare una passeggiata di circa un'ora. Tanto il tempo che ci si impiega per raggiungere il 'Grand Stade' dall'hotel, e durante il percorso un aspetto in particolare mi colpisce: il grandissimo numero di professionisti della sicurezza che monitorano ogni mattonella del tragitto. Un uomo ogni tre metri per parecchi chilometri. Chiedo a Muhammad (uno dei taxisti che ho conosciuto) il perché di tante forze dell'ordine, domandandomi se mai ci fosse qualche motivo da 'allarme rosso', e lui con tutta tranquillità risponde: "No, qui in Marocco è normale. Non vogliamo che ci sia qualcosa che non vada per il verso giusto. Nel nostro Paese deve andare tutto in modo perfetto". Differenza, una delle tante con la 'nostra' Italia. Addirittura a metà strada mi 'avventuro' per pochi passi all'esterno del marciapiede per via di una pianta troppo 'ingombrante', e il risultato è il 'cazziatone' (scusate per il termine, chiamamolo, chiaro) di uno di loro. Pignoli, penso. Giusto così, puntualizzo poi tra me e me.
Poi c'è il campo. La parte più bella. Nel primo allenamento Mancini mischia le carte provando tre schieramenti differenti: 4-3-3, 4-2-3-1 e 3-4-3, mentre la rifinitura è a 'porte chiuse' e solo poi capiamo che in questa oretta, o poco più, di lavoro è stato scelto Bonazzoli al posto di Obi. La partita contro il PSG invece non dice molto, diciamo la verità. Qualche vecchio amico ritrovato (oltre a Ibra, un 'cinque' anche a Maxwell), un paio di esperimenti abbastanza positivi (Hernanes esterno d'attacco e Juan Jesus terzino sinistro, non male la sua prova) e la voglia di far bene contro la Juventus, il primo spartiacque del 2015. La trasferta volge al termine e nel volo di ritorno penserò a quanto mancherà alla prossima tappa, al prossimo lavoro, alla prossima esperienza. Forse queste possono sembrare le parole di un ragazzino, ma il mio augurio è che possa svolgere questo lavoro proprio in questo modo: da giovane 'per sempre'. Arrivederci a Torino, quando si farà veramente sul serio, e nel frattempo il mio saluto va all'accogliente Marrakech. Ah, quasi dimenticavo: intervistare Ibrahimovic è stato super. Simpatico, educato, gentile e scherzoso. Vederlo così sorridente ha creato in me un po' di nostalgia pensando a un passato in cui festeggiava ed era felice, ma con la maglia dell'Inter.
P.S. Approfitto di questo spazio per augurare ai tifosi di tutto il mondo un 2015 ricchissimo di soddisfazioni e di essere, soprattutto, felici. Questo è ciò che conta.