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Tutti al multisala

di Giorgio Ravaioli

Ci avevano creduto. Dicono. Noi, che un paio di filmetti infrasettimali ce li eravamo gia' sciroppati nel travaglio del dopo Brandao, nel distacco dalle cose terrene che una pellicola ben selezionata puo' far capitalizzare, molto meno. Ma molto, molto, molto meno. Anzi per niente. Con questo Barcellona nessun argomento, nemmeno l'orgoglioso identitario traino di aggancio alla tradizione ed al palmares, odora di vero supporto atto a contrastare un destino che snocciola con le sue ineluttabili sequenze un copione noto ad attori e spettatori. Ci avevano creduto al punto di giocare la carta estrema della scaltrezza italiota prima della partita d'andata, mancando alla parola data dopo aver spergiurato che avrebbero agito sul manto erboso di San Siro per renderlo meno simile a sabbie mobili, di fronte alla delegazione blaugrana, integrata dai tecnici responsabili della cura del terreno del Camp Nou, un'impresa di parquettisti. Ci sono rimasti male i nostri dirimpettai di Via Turati tanto da urlare alla luna arbitrale, ai congegni di cui, poverini, erano all'oscuro che sconsigliano di aggrapparsi alla maglia di un avversario quando l'azione si svolge sul campo di un avversario politicamente potente tanto quanto lo e' tecnicamente. Forse i resoconti dei pennivendoli di corte  a suggello delle due partite precedenti, somministrati alla pubblica opinione, li aveveno convinti che sarebbe bastata un pizzico di buona sorte per appianare -il calcio e' per sua natura rispetto ad altri sport intimamente perequatore- la differenza che intercorre tra un complesso di uomini che da anni vincono quasi sempre tutto o quasi tutto ed una squadra tutto sommato normale, buona per gli usi domestici, roba da fine settimana da trascorrere senza troppe angosce. Che invece adesso assalgono un ambiente che non ci vuole stare e stimolano il  ricorso alla formula che meglio si intona ad indirizzare il naso di chi vorrebbe ficcarlo, i supporters di casa propria innanzitutto, fuori dal perimetro delle proprie inefficienze, limiti e contraddizioni. Il metodo Conte. Sottacere vantaggi, silenziare le circostanza e le voci scomode ed enfatizzare il presunto torto subito, togliendogli prima di tutto l'aggettivazione di presunto, con buona pace di cio' che resta -poco- di patrimonio comune, di senso dello sport, di questo sport, nel nostro spicchio di mondo. Perdiana, su, un po' di buon gusto! Manco avessero subito tre rigori nella stessa partita... Dubitiamo che lo stesso scapigliato tecnico bianconero, autentico guru dell'antisportivita', sarebbe arrivato a tanto. Magari gli sarebbe scappato nell'eloquio, stretto nelle 300 parole di cui si compone, un riferimento a Sanchez, incastonato tra una lagnanza ed un'allusione. Che diamine, se in due partite vivi il superamento della meta' campo con lo spirito dell'eslporatore, come Umberto Nobile al polo nord del 1926, qualche riflessione in piu' su tutto cio' che non riguarda la direzione arbitrale varra' la pena di offrirla in pasto all'umanita'? E invece no. "Sogno vegnuto qui per vincere tutto ma Mourinho sapeva risultato in anticipo" ,"i due rigori sono stati due regali, uno nostro e l'altro dell'arbitro" e via informando i fedeli che non c'era trippa per i gattoni rossoneri di fronte ad un Barcellona che sarebbe stato alla portata dei "nostri",  pur rimanendo la squadra che i favolieri mediatici d'ogni dove cospargono di polverina magica. Ma si sa, il milanista medio e' tanto assuefatto alle favole che il metodo Conte puo' agire sulla sua coscienza con prevedibile successo. E per non perdere dimestichezza col genere, quando presto ci troveremo al multisala, e' probabile che i nostri cuginetti trangugeranno popcorn e patatine in maxi confezione scacciapensieri incuneandosi nelle atmosfere ovattare del cartone animato in programmazione. Gli occhialini per il 3d ce li hanno gia'. Glieli ha forniti chi ha fatto loro credere, dopo la partita di andata, che la qualificazione fosse tanto vicina da poterla toccare con la punta delle dita. Ma anche per quest'anno e anche per loro la Champions e' a cura dell'Anicagis.

Andrea Stramaccioni pare a tutta prima -in attesa di trarre giudizi piu' pertinenti la sua attivita' lavorativa- un ragazzo piuttosto simpatico. Il che non e' comunque poco. Veniamo da un ciclo di cupe e ripetitive pantomime praticate col suo stesso accento e solo noi sappiamo quale sia il nesso tra la cortina di negativita' che avvolgeva Claudio Ranieri e quell'eloquio sincopato e le sincopi  convulsive che ci hanno colto e  portato fino a quel sanatorio che e' il centro classifica.
Piace il piglio, piace per quel che puo' piacere a fine stagione, una squadra che lascia andare la gamba cosi' come il suo allenatore fa andare la sua lingua con scioltezza, senza opacita'. Non ci sara' la mano dell'allenatore a rimettere in piedi piu' di un Lazzaro incasaccato di nerazzurro, ma e' gia' in se' taumaturgico che dopo un anno -o quasi- horribilis passato a combattere contro noi stessi, qualcosa nell'aria ci  ricordi che siamo l'Inter, qualcosa che vale la pena di vivere. Comunque, anche a fine stagione.


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