Ultimatum a Thohir e mercato. Mancini, qualcuno non l'ha voluto capire
"Devono essere tutti felici, società e tifosi. Non voglio rovinare un rapporto, è importante capire quali possono essere gli obiettivi, ci vuole tempo. Non si può spendere tanto, quindi dovremo stare attenti a non sbagliare. Con Erick Thohir ci siamo sentiti ieri e ci sentiremo ancora. Da zero a cento, quante possibilità ci sono che io resti all'Inter? Direi cento. Sento la fiducia della società, non è mancata mai". Queste le parole di ieri di Roberto Mancini, che è tornato sui concetti già espressi alla vigilia del match di Reggio Emilia e ribaditi anche immediatamente dopo il ko col Sassuolo. Parole chiare, limpide, che non dovrebbero prestarsi a interpretazioni strampalate.
Il messaggio lanciato dal Mancio era parso evidente fin da subito e si può liberamente tradurre così: "Questa è un'Inter in crescita, non un'Inter fatta e finita come quella di 5-10 anni fa. Stiamo gettando le basi per successi futuri. Alti e bassi sono normali in una fase così. Si poteva fare di più, ma anche di peggio. Il quarto posto non soddisfa totalmente, speravamo almeno nel terzo posto e ci abbiamo provato, ma è una classifica che rispecchia i valori reali del campionato. Questo andrebbe comunicato ai tifosi. E questo dovrebbero recepire i tifosi". E il riferimento, quindi, non era assolutamente Thohir e non era nemmeno una volontà di mettere alle corde il club sul tema mercato. Era una voglia pura e semplice di ristabilire i confini della realtà e rispondere a quelli che parlano di fallimento (tifosi compresi). Fallimento perché? Fallimento cosa?
Quando Mancini dice "se la società non è contenta" non vuole dire che non lo sia. Intende semplicemente dire che non resterebbe mai nell'Inter - dove ha vinto tantissimo - anche a dispetto dei santi. E, per estensione, il discorso vale pure per i tifosi, indirizzati male da una certa parte di stampa. La "chiarezza sul lavoro svolto" è quella che cerca l'allenatore. Ecco perché dice che accetterebbe anche "di lavorare con una squadra di soli giovani": l'importante è comprendere le premesse di un percorso. Poi tutto arriva di conseguenza. Far passare quest'Inter per una squadra che abbia il dovere di competere per il vertice solo perché si chiama "Inter" è sbagliato. Certo, sarebbe potuto capitare. Com'è capitato che il Leicester abbia vinto una Premier. Ma quella è l'eccezione, non la regola. La regola è che squadre come Juventus, Napoli e Roma - a ciclo ampiamente iniziato e ben più avanti nel lavoro generale - partano davanti e finiscano davanti. Così è andata. Nessuno scandalo, nessun "fallimento", come va di moda dire.
Ed è sbagliato anche il solito messaggio che qualcuno lascia passare in merito ai "vizi" dell'allenatore marchigiano. Mancini ha avuto tanti giocatori dal mercato, verissimo. Ma altrettanti sono pure partiti. E non parliamo solo di giovanotti, ma anche di gente importante. Non è più tempo di vacche grasse, in cui si può pensare di tenere in panchina Recoba, Cruz e Crespo. Non a caso, il saldo entrate-uscite si è attestato in una sostanziale parità. Questo andrebbe fatto capire ai tifosi ed è questo che il Mancio critica. C'è una lacuna bella grossa nella comunicazione, in quel segmento che passa da ciò che si è a ciò che viene fatto credere sia. Ingigantendo le aspettative e creando malumore una volta che poi queste stesse aspettative fittizie non vengono rispettate.
Per cui, "ultimatum a Thohir" di che? Quando? Perché? Ma davvero pensate che Mancini abbia bisogno di una conferenza stampa alla vigilia dell'ultima giornata di un campionato per parlare con il proprio presidente o con il proprio direttore sportivo? E allora perché non credere pure a fate, elfi e folletti?
Come dice Mancini, la fiducia della società non è mai mancata. E Mancini stesso non arriva da Marte: quando nel novembre 2014 è tornato all'Inter, sapeva bene quale fosse la situazione. Il problema, come detto, è ben altro. Il Mancio lo ha sottolineato per bene, con estrema chiarezza. Qualcuno non ha capito. Qualcun altro non l'ha voluto capire.