Un inutile esame di riparazione
Riecheggiano ancora, acuti e beffardi, gli olé del pubblico del San Paolo nei minuti finali della gara di domenica sera. Oltremodo giustificati, non si può negare: in barba a tutti i discorsi sulle motivazioni, sul presente ormai consolidato e sulla testa rivolta al futuro, il Napoli di Carlo Ancelotti regala ai suoi tifosi un’ultima tra le mura amiche al bacio e contemporaneamente rigetta l’Inter nel tunnel dell’ansia e degli incubi: a 90 minuti dalla fine del campionato, la formazione nerazzurra si ritrova ancora una volta a dover inseguire il proprio obiettivo Champions League fino all’ultima giornata. Ma se un anno e due giorni fa, alla fine, la sorte fu benevola visto che la Lazio inciampò clamorosamente a Crotone prima di perdere la volata decisiva tra le mura amiche, quest’anno si scruta all’orizzonte la paura che la ruota possa girare, incredibilmente, nel senso opposto.
Si è buttata via, l’Inter, come tante volte magari ha fatto nel corso della sua storia ma come poche volte aveva fatto in maniera così fragorosa: dando adito alle varie Cassandre di speculare sulla tenuta psicologica del gruppo anche quando il terzo posto in classifica, quello da sempre rappresentato come lo step ideale per poter parlare di upgrade rispetto alla scorsa stagione, sembrava una faccenda ormai assodata pur con qualche stonatura all’interno dello spartito, il gruppo di Luciano Spalletti, per vari motivi più o meno incomprensibili, ha gettato alle ortiche tutto il benfatto in una maniera che, cinicamente parlando, si potrebbe definire chirurgica. La partita di domenica contro il Napoli è stata forse l’apoteosi in negativo di questa lenta e inesorabile erosione: una squadra andata presto nel pallone più completo, spenta psicologicamente prima ancora che fisicamente, dove nemmeno il tanto anelato impiego delle due punte ha dato frutti apprezzabili, anzi se vogliamo a messo ancora più a nudo i limiti tecnici, in primis della linea mediana. Mescolate bene il tutto e avrete come risultato un’altra settimana da melodramma in attesa dell’ultimo impegno di campionato, che ancora una volta sarà da vita o morte per l’Inter.
C’era una volta, nemmeno troppo tempo fa, in cui l’Atalanta delle meraviglie di Gian Piero Gasperini era distante parecchi punti da un’Inter in piena ‘comfort zone’; oggi, quella stessa Atalanta, che balla da luglio visti i preliminari di Europa League e continua a ballare meravigliosamente e senza cali di sorta, dopo avere conquistato una finale di Coppa Italia contro la Lazio persa solo nei minuti finali, si ritrova ora a gongolare al terzo posto visti gli scontri diretti a favore e con una percentuale di probabilità di approdo in Champions League ben più alta di quella dei nerazzurri di Milano. Per i quali mancare il risultato pieno potrebbe avere effetti deleteri e allora ecco all’orizzonte altri quattro giorni sull’orlo di una crisi di nervi, con una tifoseria che rivede davanti a sé oscuri spettri del passato anche prossimo e un collettivo che rischia di avere perso completamente proprio nel finale la convinzione nei propri mezzi.
Tante volte, come detto, l’Inter ha vissuto vigilie da epopea o da tragedia greca come questa, anche se non tutte possono dirsi assimilabili a questa. Per ripensare a un momento storico simile, bisogna probabilmente fare un salto nel tempo fino al 2008, quando la banda di Roberto Mancini dilapidò un vantaggio enorme nei confronti della Roma, arrivando a farsi frenare alla penultima giornata dal Siena a San Siro, nel giorno del rigore sbagliato da Marco Materazzi che non replicò quanto fatto l’anno prima e della successiva invettiva di Massimo Moratti nei suoi confronti. Poi, a Parma, arrivò il supereroe Zlatan Ibrahimovic che con due lampi nella pioggia stese i ducali, che cercavano punti per salvarsi, e regalò ai nerazzurri l’agognato 15esimo tricolore (con lacrime che di tanto in tanto continuano ad affluire nel Tevere…). La storia pare ripetersi adesso, seppur con obiettivi meno alti: arriva a San Siro un Empoli che pare aver preso i connotati del Manchester City, guidato da Aurelio Andreazzoli grande amico di Luciano Spalletti, forte di tre vittorie consecutive che ne hanno improvvisamente acceso le speranze di salvezza, e con una forma fisica e morale da fare invidia ai nerazzurri.
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, faceva però dire Bertolt Brecht a Galileo nell’opera eponima del 1938. Parafrasando, si può dire che mai come in questo caso sventurata sia la squadra che ha bisogno di eroi. Anche perché, onestamente, l’ultima che ci si può auspicare in un momento come questo è quella di doversi affidare al tocco magico di un singolo capace di togliere tutti dai guai, e non solo perché in questa rosa non si intravede un solo elemento che abbia anche lontanamente le qualità e il carisma di Ibra. Più semplicemente, l’unica cosa da chiedere in questo momento alla squadra nerazzurra è quella di ricordarsi, per l’ultima volta in questa stagione, chi e cosa rappresentano; di capire che ci si può definire sconfitti prima ancora di scendere in campo e al di là di quello che sarà il risultato finale se ci lascia sopraffare anche solo dall’idea di poter avere paura dell’Empoli, avversario che, con tutto il rispetto dovuto, ha un tasso tecnico notevolmente differente rispetto a quello dell’Inter. E capire, soprattutto, che il pubblico di San Siro che accorrerà in massa per l’ultima partita stagionale non appare comunque disposto a perdonare una stagione di troppi alti e bassi, che si voleva essere quella del nuovo passo in avanti e che invece ci si è ridotti a vivere ancora una volta al cardiopalma per via degli eccessivi difetti di personalità di una rosa che forse avrà anche performato ben oltre le proprie qualità per larghi tratti del campionato ma che al momento del dunque è (quasi) sempre venuta meno, vuoi per fattori interni vuoi per facile condizionamento da agenti esterni; un male al quale non si riesce a trovare ancora un rimedio.
Sarebbe stato meglio arrivare a domenica prossima con i piani per il futuro ben chiari, e non solo quelli legati alla guida tecnica ormai fin troppo spiattellati. Invece, prima di capire che ne sarà dell’Inter di domani, bisognerà ancora stare sulle spine per novanta minuti e poi tracciare la fatidica riga. Anche se da più parti il giudizio complessivo sull’annata è stato già tracciato e parla, senza troppe attenuanti, di bocciatura solenne. Giustificata da motivi oggettivi come il calo dei punti in classifica (e scusate tanto se l’eventuale Champions a quota 69 non è poi frutto dell’abbassamento generale del livello del campionato) o l’aumento dei gol subiti, oppure da tesi un po’ raffazzonate come il presunto calo della quotazione di alcuni giocatori in rosa, come se si potesse ancora credere alla favoletta del prezzo del giocatore stabilito a freddo, senza tenere conto delle logiche del mercato.
E allora, data ormai per assodata la sentenza, tanto vale fare una cosa semplice: mettersi tutto alle spalle, e pensare che esiste solo la gara di domenica, lì dove tutti, in campo e sugli spalti, dovranno fare essenzialmente il loro dovere senza pensare a bizantinismi di alcun genere. Il traguardo della Champions ormai sembra avere il sapore di un contentino, di un esame di riparazione che nemmeno aiuterà troppo a cambiare il giudizio su una stagione, ma ormai, visti i tempi, vale quasi quanto un ultimo sette (meno) in pagella. Da lunedì, sarà inevitabilmente un’altra pagina.
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