Un mistero (poco) buffo
"Quello che voglio è che il mio cliente non sia più umiliato". Con le ultime parole rilasciate a Radio Globo, Wagner Ribeiro si è giocato il jolly. Ormai l'agente di Gabriel Almeida Barbosa, un tempo conosciuto come Gabigol e oggi semplicemente Gabiboh(?), nel senso che è tutt'ora un oggetto misterioso, non sa più come fare per esternare il malumore suo e del ragazzo nei confronti della situazione che si è creata all'Inter. Tutti lo ricordiamo il momento in cui l'astro nascente del calcio brasiliano, colui che avrebbe ripercorso nella più ottimistica delle ipotesi le orme di Ronaldo, è sbarcato a Milano facendosi largo tra la folla osannante di tifosi alla Malpensa. Per poi essere presentato in pompa magna nell'hangar Pirelli in zona Bicocca, con parole talmente sontuose che a pensarci oggi strappano un sorriso. Amaro.
"Neanche l'Inter sa perché non gioca", ha aggiunto il buon Wagner, che oltre a condividere il nome con una fermata della metropolitana milanese è anche uno dei più potenti manager brasiliani. Talmente potente da arrivare a minacciare di portarsi via il suo giovane cliente e di restituirlo alla sua terra per mettere fine a questa paurosa contraddizione. Già, ma che significa che neanche l'Inter lo sa? A chi si riferisce? Chi sarebbe a impersonificare l'Inter? La famiglia Zhang? Zanetti? Thohir? Ausilio? Gardini? Possibile che nessuno di loro abbia una spiegazione e che questa potrebbe darla solo chi si occupa di Gabriel quotidianamente, chi lo sta allenando da quando è in Italia. Resta il fatto che tre allenatori, non uno di passaggio (beh, Vecchi in effetti lo è stato), ma ben tre, non gli hanno offerto che 16 miseri minuti contro il Bologna. Pochini per un 20enne pagato 29 milioni di euro e stipendiato 3,5 milioni all'anno.
La spiegazione principale è stata la stessa: non è ancora pronto. Prima fisicamente, oggi mentalmente. In un modo o nell'altro, non è pronto. Neanche per 10 minuti di garbage time, con l'Inter sotto di tre gol a Napoli (è entrato Palacio) o con i nerazzurri sopra di due reti contro il Genoa ormai rassegnato (spiccioli di partita per Banega). Niente, neanche un minuto per timbrare almeno il cartellino. Eppure contro il Bologna, nel tentativo di vincere la partita ancorata sull'1-1, De Boer gli aveva dato fiducia nel finale, con tanto di ovazione del pubblico incuriosito dall'esordio dell'enfant prodige. Non certo una scelta folle da parte dell'olandese, che evidentemente non riteneva Gabriel inadatto a scendere in campo. Poi il nulla, solo panchine e una tribuna.
Proprio quest'ultima legittima le voci che mi sono giunte all'orecchio, e che per ovvi motivi non essendo testimone oculare prendo col beneficio d'inventario. L'attaccante, e questa sarebbe la motivazione ufficiosa ma mai esposta pubblicamente, non si sarebbe approcciato nel modo giusto alla nuova realtà, evidentemente molto più professionale di quella a cui era abituato. La presentazione da super star e lo stipendio da urlo evidentemente non lo hanno aiutato a uniformarsi al suo ruolo di apprendista, al punto da trasmettergli l'idea di essere già un top e di poter scalzare gente più esperta di lui. Non che chi gli ha preso il posto abbia fatto decisamente meglio, ma nella mente di un allenatore l'approccio e la serietà contano spesso più delle qualità tecniche. Peccato veniale per un giovane esaltato in patria come nuovo fenomeno e fresco di medaglia olimpica, a 20 anni capita di pensare di essere arrivati quando una grande squadra europea ti strapaga. Ma questa è un'altra realtà, perché quello che conta è il campo e serve la forma mentis più adatta per far bene ed essere utili alla squadra. Gabriel nei primi mesi evidentemente ha faticato a entrare nell'ottica, pagando con panchine e quella famosa tribuna questo atteggiamento.
Oggi però tutti sostengono che si stia allenando bene, difendendo questa contraddizione della panchina fissa con l'ormai demodé concetto di 'è giovane, gli serve tempo, deve capire, eccetera eccetera'. Qualcosa non torna, evidentemente c'è il famoso unsaid che impedisce dall'esterno di capire cosa stia succedendo. Stimolando pertanto ogni più fantasiosa motivazione, anche le più severe. Inutile ribadire, tra l'altro, che questa situazione è lo specchio di un'Inter in costante contraddizione sotto molti punti di vista. Il fatto che, Joao Mario a parte (lui è l'affidabilità in persona), il tuo nuovo gioiello, colui che Suning ha voluto regalare ai tifosi nerazzurri, sia ancora un oggetto misterioso e abbia giocato in stagione meno di Andrea Pinamonti, tradisce un difetto di gestione che nasce proprio dall'eccessiva autonomia con cui la proprietà ha condotto il mercato la scorsa estate. Ostinarsi a voler acquistare, senza badare a spese, un giovane talento brasiliano a prescindere (salvo puntare sulla seconda scelta dopo il due di picche di Gabriel Jesus), senza neanche chiedere un parere a chi avrebbe dovuto lavorare con lui (prima Mancini, che già aveva bollato Jesus come troppo giovane, quindi De Boer, che magari lo apprezzava ma in un altro momento storico e con meno casini tra le mani), è stato alquanto avventato. E oggi s ene raccolgono i cocci.
Wagner Ribeiro vuole riportarlo in Brasile (è inc***ato, come dargli torto?), paventando l'ipotesi che non torni più. Di certo entro fine anno una soluzione andrà trovata, perché questo mistero che neanche l'interista Dario Fo avrebbe definito buffo sta diventando difficile da gestire. Non so come andrà a finire, la sensazione è che Gabigol andrà in prestito altrove, sempre stipendiato dall'Inter ovviamente. Perché solitamente in Italia, e soprattutto in questa società, è così che vengono risolti i problemi di fiducia nei giovani. Io invece andrei controcorrente: ridurrei il parco attaccanti a gennaio, trattenendo il giovane brasiliano e dandogli la possibilità di dimostrare le proprie qualità. Poi, spazio alle valutazioni, ma serve la riprova del rettangolo di gioco. Se poi faticherà a entrare nei meccanismi dell'Inter, almeno ci sarà il conforto di averlo battezzato e avergli fatto fare il primo, necessario rodaggio. Dopo tutto, ripeto, non è che chi gli sta davanti stia facendo sfraceli e meriti di giocare a prescindere. Mi auguro che Pioli, quando lo riterrà opportuno e senza aspettare ancora troppo, gli dia finalmente fiducia e lo testi seriamente. E mi auguro che nel percorso intrapreso da Suning con l'obiettivo sbandierato di riportare il nerazzurro al vertice mondiale ci sia maggiore coinvolgimento dello staff tecnico anche in fase di campagna acquisti. Gabriel Barbosa rimanga l'ultimo regalo a scatola chiusa.