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Una noiosa importante vittoria

di Lapo De Carlo

La notizia è che l’Inter ha vinto. E questo potrebbe bastare a chi pensa che l’Inter quest’anno non possa fare molto meglio. Naturalmente oltre al risultato c’è di più. O meglio… di meno. L’Inter ha giocato la partita con una formazione ancora una volta prudente e un’anima pavida. Non c’era il rischio che Il terribile Sassuolo entrasse in campo con la volontà di rifarsi del drammatico cappotto dell’andata, considerando che squadra e allenatore sono nuovi e non meditavano da mesi l’atroce vendetta. Eppure l’Inter è scesa in campo con lo stesso approccio già visto recentemente col Catania e con il Chievo. 
Si dice che una squadra rispecchi la personalità dell’allenatore. E questa gioca senza divertirsi, con la paura di sbagliare appoggi, disimpegni e movimenti. 

E’ vero che quando mancano i risultati da tanto tempo le gambe sono bloccate, la testa è chiusa e tutto diventa più difficile. Ma il gioco che esprime l’Inter è fatto di individualità che si cercano raramente. La vera attrazione della serata era Hernanes, il quale ha faticato tutto un tempo a trovare una collocazione a lui più congeniale. A tratti spaesato, spesso incapace di trattenere un pallone, nel corso dei minuti ha preso consapevolezza e misure e gli è tornata l’ispirazione, mostrando un paio di numeri e un'occasione da gol culminata su un palo esterno. Sembra che ami giocare vicino alla porta avversaria più di quanto ami sbattersi in mezzo al campo a cucire il gioco. In questo Kuzmanovic, delegato a  organizzare chiusure e partenze, era spesso solo e non trovava grande collaborazione. 

Se devo guardare le prestazioni individuali mi colpisce notare quanti giocatori abbiano cercato di interpretare al meglio il loro ruolo. Handanovic raramente impegnato ma decisivo sulla punizione di Berardi nel primo tempo, Juan Jesus con diversi interventi fisici risolutivi, Nagatomo estremamente vivace, Guarin con voglia, fisico e imprevedibilità (anche per i compagni), Palacio con quella capacità di dare profondità, grazie al suo senso tattico e Samuel che, a parte l’impaccio del rientro, è riuscito a segnare il gol decisivo alla sua maniera. L’Inter è però una squadra che gioca malvolentieri col collettivo e ha tempi di gioco biblici.

Ogni volta che imbastisce una trama di gioco sei cosciente che la palla rotolerà lentamente in orizzontale da una parte all’altra, subirà il pressing di chiunque poi un difensore o alla peggio Handanovic sarà costretto al lancio lungo. Nella migliore delle ipotesi invece, se la palla resta a terra e in verticale, gli avversari è come se ricevessero un comunicato stampa sulle intenzioni dei centrocampisti. Quello che noi chiamiamo ottimisticamente “gioco” si sviluppa con trame di facile lettura e una lentezza esasperante, perciò mentre realizzi che sei in vantaggio sul Sassuolo ti chiedi anche perché la tua squadra stia facendo tanta fatica ad aver ragione, anche questa volta, di una delle ultime in classifica e non riesca ad avere un'organizzazione di gioco in fase di proposizione. La noia è l’unico sentimento che non avevo mai provato guardando la mia squadra. Ho provato rabbie ed entusiasmi ma la noia per così tanto tempo mai. 

Se potessi ottenere una risposta sincera chiederei a Mazzarri perché la squadra non va mai in pressing collettivo, perché fa poco movimento senza palla e che senso ha avuto prendere D’Ambrosio, più offensivo di Jonathan, per metterlo nel ruolo di centro panchina in una partita in casa. Continua a piacermi Ruben Botta e sogno di vederlo giocare presto dal primo minuto vicino a una prima punta come Icardi, svariando con Palacio attraverso un 4-3-3. L’ipotesi che il modulo sia una delle soluzioni ai problemi che ha l’Inter fa il paio con la  richiesta ufficiale verso l’allenatore di modificare in meglio la mentalità. Il coraggio ha tante strade, dalla formazione al linguaggio che usa durante la settimana con i suoi giocatori, per spingersi a credersi persino migliori di quello che sono, passa dalle conferenze stampa pre e post partita all’atteggiamento durante la partita. Ad oggi resta questa sensazione tangibile che Mazzarri creda più nei limiti che nelle risorse di ogni suo giocatore. Anche questa è mentalità.


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