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Vietato vietare

di Maurizio Pizzoferrato

Chiudi la Curva, apri la Curva, sospendi la Curva.... sembra sentire Carlo Verdone quando "litigava" con la gambe della nonna, l'immensa sora Lella, per chiudere con la battuta del secolo: "Io jee tajereei quee gambe...”. Ridiamo per non piangere dopo l'ennesimo provvedimento, buono solo per svuotare gli stadi e non le menti bacate dei razzisti. Ieri pomeriggio il giudice sportivo ha disposto la chiusura per una giornata con sospensiva  della Curva Nord interista. Tradotto: a Inter-Atalanta di domenica 23 marzo il settore più caldo del tifo nerazzurro rimarrà aperto, ma se saranno percepiti cori razzisti, dicriminatori, etc etc, allora poi la chiusura sarà reale e per due giornate.

Le motivazioni del provvedimento? Lo scorso 22 dicembre, quindi tre mesi e dodici giorni fa, in occasione del derby con il Milan, dalla Nord sarebbero partiti cori e/o ululati razzisti nei confronti di Muntari, De Jong e Mario Balotelli. Il giudice sportivo ha deliberato dopo aver acquisito nuove informazioni dalla procura federale, ma rimane la sospensiva per il fatto che dopo l'accoglimento del ricorso nerazzurro, furono annullati lo scorso 27 febbraio i precedenti provvedimenti di chiusura, sempre con sospensiva, inerenti i cori di Torino-Inter e Napoli-Inter, per mancata percezione dei cori stessi.  

Continua la farsa, dunque, e non perché si tratti del tifo interista, ma ogni qualvolta si debba applicare questa assurda norma contro i cori da stadio, sia che essi contemplino il razzismo, vedi i buu a giocatori neri o la discriminazione territoriale, che peraltro sembra riguardare solo i napoletani. Ma tornando allo specifico del nuovo provvedimento contro la Nord nerazzurra, scadiamo veramente nel ridicolo perché si va contro l'oggettivo svolgimento dei fatti. Lo scorso 22 dicembre il derby tra Inter e Milan si svolse con le curve aperte e strapiene dopo la sospensiva della chiusura della Nord per i cori della settimana prima a Napoli. Le due tifoserie avevano così l'opportunità di poter giocare il loro personalissimo derby sugli spalti mostrando scenografie preparate da mesi e che promettevano essere bellissime.

È inutile che qualcuno pensi che queste manifestazioni folcloristiche siano poco importanti e che sarebbe ora avere stadi con la gente seduta, senza striscioni, come a teatro. In Italia un derby ha qualcosa in più di altre partite proprio perchè prima del fischio di inizio si contrappongono colori, passione e storia delle due parti della città. Per molti tifosi di Curva, vincere la sfida delle scenografie, è addirittura più importante dei tre punti sul campo. Detto questo, quel 22 dicembre, fu impedito agli ultrà del Milan, per motivi ancora non del tutto chiari, di far entrare la loro scenografia. Per solidarietà anche la Nord interista rimase spoglia. Nessuno striscione nessun coro per gli interi 90 minuti a parte la spontanea esultanza al gol vittoria di Palacio.

Ma dopo il gol stesso, quando i cosidetti tifosi “normali” intonarono il classico “Chi non salta è rossonero”, non furono minimamente supportati dal secondo anello verde, che solo dopo il fischio finale salutò i giocatori festanti con una sciarpata. E allora, da che parte sarebbero partiti i cori incriminati verso i tre giocatori del Milan? Tre mesi di indagine su una curva silente per scelta? È logico tutto questo? Scrivo questo editoriale dopo aver presenziato a Coverciano, al seminario “Il calcio e chi lo racconta” organizzato dall'Unione Stampa sportiva e dalla federcalcio. Ieri, seconda giornata di lavori, erano presenti il presidente della Juventus Andrea Agnelli, il presidente federale Giancarlo Abete e quello del Coni Giovanni Malagò.

Tutti puntavano il dito sulla preoccupante fuga dagli stadi da parte del popolo tifoso, a parte l'eccezione chiamata Juventus Stadium, ma parlando delle norme in questione, è emersa chiara la spaccatura tra le stesse istituzioni dello sport italiano. Malagò ha ribadito con fermezza come tali norme siano assolutamente da rivedere, mentre Abete si è lamentato del fatto che si polemizzi sulle punizioni e non si condannino invece i comportamenti da stadio. In sostanza ci si è incartatati ben bene, nonostante anni fa si dicesse che il biglietto nominale e la tessera del tifoso sarebbero stati strumenti capaci di individuare chi va allo stadio per delinquere, garantando invece chi certe cose non le fa. E invece si continua a sparare nel mucchio.

Parte un coro? Chi frequenta quel settore rimane a casa, dopo aver pagato a scatola chiusa biglietti e abbonamenti. I comportamenti sono importanti, certo, ma chi legifera dovrebbe prima conoscere le realtà. Il tifo, il campanile, prevede anche goliardia e sfottò. Il razzismo, il disprezzo per chi è considerato diverso, non nasce in uno stadio. Nasce dall'ignoranza di una società che a partire dalle famiglia e dalla scuola, non insegna il rispetto per gli altri. Martin Luther King o Nelson Mandela non hanno combattuto contro gli ultrà, ma contro gran parte del pensiero comune.


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