Zitti e buoni... Sono Dzeko di testa
di Egle Patanè
Gira tutto bene, direbbe qualcuno, probabilmente a ragione perché la squadra di Simone Inzaghi gira bene anche quando gioca male. Settanta percento di possesso palla, ventiquattro tiri di cui il 50% esatto in porta, centosessanta-nove volte all'attacco di cui centouno quelli considerati 'pericolosi', dieci le parate dell'estremo difensore avversario a fronte dei tre tiri in porta degli arancio-nero-verde, arrivati dopo le sessantasei volte in cui i veneti sono andati all'attacco. Una 'bruttezza' ingiustificata dai numeri, ma legittimata da una fluidità di gioco che ha lasciato spazio a qualche sprazzo d'ansia, questa quasi ormai dimenticata dai cuori nerazzurri, tornati al cardiopalma nelle sole ultime due partite. A stanare le preoccupazioni è il Don Chichiotte della Pinetina, l'uomo dai mille sacrifici, mai sereno ma soprattutto mai domo. E che fortuna... Quel 23 in mezzo al campo. Ma la vera fortuna è che Nicolò Barella è ovunque, non solo in mezzo al campo e a cinque minuti dal duplice fischio di Marchetti, il centrocampista sardo si trova nel posto giusto al momento giusto: tiro dal limite dell'area di Ivan Perisic, di forza su un gran pallone servito da Darmian dalla parte opposta, che trova l'attenta e istintiva ribattuta di Lezzerini, sfortunato a carambolare su una zolla di area di rigore sul quale si fionda l'ex cagliaritano che non lascia scampo all'ormai battuto classe '95.
Onore al 23 che l'unico appuntamento bucato finora è la gara di Madrid, scivolone di cui si porta ancora il peso. Ma l'onore è tutto dei tifosi, a vederlo indossare quella maglia con lo spirito da interista nel dna: sudore, fatica, devozione a cui il grande 23 della storia nerazzurra rende omaggio a fine gara e con il quale lo stesso Nicolò ironizza. Ironia alla quale però l'Inter non lascia spazio e alla goliardia pullulata sui social a una manciata di minuti dal triplice fischio che sembrava incombere come un macigno di piombo sulla classifica, la capolista risponde come meglio sa fare: rialza la testa senza lasciarsi sopraffare dall'ansia del ticchettio di cronometro che scorre e affonda il colpo proprio quando meno la squadra di Zanetti se l'aspetta. Se Barella colpisce, il bosniaco affonda. Alza la testa, schiaccia e affonda il Venezia, astuto e scaltro ad arginare la furia degli interisti, fino a quel momento finiti però a schiantarsi contro le infrastrutture dei lagunari degne del MOSE.
A straripare gli argini è Edin Dzeko che spezza un digiuno che durava dal 4 dicembre contro la Roma. Tabù sfatato e anche il 9 nerazzurro ha finalmente ritrovato una porta che col Venezia sembrava stregata più del solito, ma nel pomeriggio in cui i diretti inseguitori stavano già pregustando un potenziale avvicinamento il Cigno di Sarajevo è tornato spiegare le ali volando in alto... Più di tutti. Voli pindarici e voli pittoreschi. Decisamente più il secondo quello di Edin, che di pittoresco ci mette pure l'esultanza, rabbiosa e straboccante come la voglia di segnare che aveva già palesato per tutto il corso della gara ma che smorza ai microfoni: "Esultanza rabbiosa? No, quando fai gol all’ultimo minuto devi esultare così, come se fosse l’ultimo. Sicuramente mancavano i miei gol però quando la squadra vince è sempre importante, poi magari mi ero risparmiato per oggi e non rimpiango niente. È bellissimo segnare all’ultimo".
Segnare all'ultimo è bellissimo, è vero, e pare che di cotanta bellezza i nerazzurri ne abbiano fatto abitudine, un tantino inflazionata oseremmo dire, quasi sfiancati di una 'pazza Inter' alla quale non eravamo più abituati e proprio per ciò colpevole di autorizzare il via libera ai giudizi negativi, finalmente legittimati a tornare di moda ad onta dei sopraccitati numeri, questi irrilevanti dinnanzi all'eccelse analisi social. E in fondo, perdonate la citazione, talvolta è proprio "più bello così". Ma dall'alto del tetto d'Italia come quello d'Europa dell'Eurovision con vista su Sanremo, musica dei Maneskin, testo di Edin: Zitti e buoni, sono Dzeko di testa.
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