Maaroufi a FcIN: "Dacourt e Figo due fratelli. Ausilio voleva che restassi, sbagliai. Lukaku rispettoso"
Arrivato all’Inter come una promessa dal sicuro avvenire, Ibrahim Maaroufi non ha avuto una carriera da top player del mondo del calcio. Eppure chi lo ha visto giocare da vicino assicura come avesse mezzi tecnici e atletici per arrivare davvero lontano. Un peccato per l’ex calciatore nato in Belgio ma naturalizzato marocchino, che tra l’altro nel 2016 è passato alla cronaca per il furto d’identità nei suoi riguardi da parte di uno degli attentatori di Bruxelles. In esclusiva per FcInterNews, tra vicende legate al mondo del pallone e non solo, ecco le parole di Maaroufi, che tra poco inizierà il corso di allenatore.
Quale è il suo primo ricordo legato all’Inter?
“Uff, ne ho tantissimi. Direi però il giocare fin da subito con alcuni campioni del mondo come Materazzi e Grosso. L’Italia aveva appena vinto il Mondiale, io ero giovanissimo e dalla Primavera del Psv ero passato ad uno dei più blasonati e forti club a livello mondiale. Qualcosa di indimenticabile. Anche perché mi allenavo con gente come Figo o Ibra. Non pensavo che fosse un sogno, ma lo vivevo come tale, soprattutto all’inizio. Anche solo svegliarsi e sapere di dover lavorare con loro era incredibile”.
Chi era il più forte?
“Non le posso rispondere. In troppi erano davvero fortissimi. Non mi va di sceglierne uno. Ma le dico questo: vedevi in allenamento cose davvero incredibili”.
Chi era invece il giocatore che aiutava di più i giovani?
“Dacourt e Figo erano come fratelli per me. Mi aiutavano, davano consigli e infondevano sicurezza”.
Di Mancini che l’ha fatta esordire cosa pensa?
“Un allenatore forte, che osserva e non parla tanto. Da giocatore era un top. Da mister ha gettato le basi per i trionfi del Triplete. Poi l’Inter ha vinto la Champions con Mou, ma le fondamenta erano quelle del Mancio”.
Cosa ha provato quando ha esordito con la casacca della Beneamata?
“Ecco, qui parliamo proprio di un sogno. Con tutto il rispetto non era il campionato belga o quello olandese, ma la Serie A. Il mio nome è entrato nella storia del vostro calcio. E vado fiero di un’altra cosa: nell’ultima partita della sua carriera Javier aveva una fascia speciale con scritti i nomi di tutti i compagni di squadra. C’era quindi anche il mio. Una qualcosa di tangibile, che rimane per tutta la vita”.
E quando ha giocato titolare cosa ha provato?
“Quello mi ha fatto venire voglia di andare in prestito. Sapevo che non avrei potuto poi avere molto minutaggio con l’Inter. Davanti a me c’erano campionissimi e non potevo avere molto spazio. Per questo ho chiesto di andare via, per giocare. E col senno del poi si è trattato di un errore. Ausilio voleva che rimanessi. Non molto tempo fa ne ho parlato con lui. Per Piero sarei potuto essere col tempo sempre più importante, magari anche il capitano della squadra, chi lo sa. Ma quello che mi preme aggiungere è che io da quando ho messo piede a Milano sono diventato interista. Al 100%. E le sue parole mi hanno toccato molto”.
Ma è vero che lei era una testa calda?
“Non è così. Io ho sempre rispettato tutti. Da giovanissimo è difficile. Io avevo 17 anni, ero solo, lontano dai miei genitori. Sarei dovuto essere più serio. Tenere i piedi maggiormente per terra. Ma a quell’età mica è facile se firmi per uno dei club migliori del mondo…”.
Con scelte diverse la sua carriera sarebbe potuta decollare in altro modo.
“Potevo fare di più. Ma la vita è fatta così, devi andare avanti”.
Lei è nato a Bruxelles. Quindi è connazionale di Lukaku.
“Un attaccante forte. Un ragazzo con i piedi per terra e una persona rispettosa. Farà bene in Italia, per la Serie A sarà un plus”.
Dove può arrivare l’Inter?
“Con Conte può fare un bel campionato. La Juve rimane forte, però intanto l’Inter è prima. Si pensi a partita dopo partita. Adesso siamo davanti a tutti. Speriamo che si possa fare qualcosa di bellissimo”.
Il derby come finisce?
“Da interista dico che vinciamo, ma attenzione: i nerazzurri sono favoriti, basta vedere la forma delle due squadre, ma il derby regala sempre insidie particolari”.
Chiudiamo con una vicenda spiacevole. Nel 2016 uno degli attentatori di Bruxelles le ha rubato l’identità.
“Sì, sono stato alla polizia per questo. Loro ovviamente mi hanno informato dell’accaduto, sottolineando che non c’entrassi niente con quanto successo. Io continuo a vivere, non voglio che dei matti di quel tipo mi rovinino l’esistenza. Voglio il bene dei miei figli e non parlare più dell’episodio. Di fatto quando uno ti ruba l’identità non puoi fare nulla”.
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