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Silvestre: "Inter, non pensavo che sarei andato via. Ronaldo pazzesco, anche in cucina. Moratti sempre presente"

di Stefano Bertocchi

È l'estate del 1998, quando Mikael Silvestre firma per l’Inter all'età di 21 anni. Per lui solo una breve parentesi condita da 18 partite e una rete, poi la cessione in Premier League: "E manco pensavo che sarei andato via" confessa ai microfoni di Gianlucadimarzio.com. "È stato tutto così improvviso... All’Inter avevo giocato poco, ma non era un problema. Nella mia seconda estate italiana arrivò Lippi che fece firmare Georgatos: era lui la prima scelta, mi venne comunicato che non avrei avuto tanto spazio. Accettai di restare comunque, solo che poi si fecero avanti il Manchester United, il Liverpool e l’Arsenal: cambiò tutto. In Premier mi dicevano che avrei giocato sicuramente". 

In nerazzurro ha giocato con gente come Baggio, Pirlo e Zamorano. "E poi c’era il Fenomeno, Ronaldo -  precisa Silvestre -. Un giocatore pazzesco. Era bravissimo pure in cucina: spesso ci invitava a cena e faceva tutto lui. Sai, quando ci allenavamo ci veniva dato un preciso compito: non andare troppo forti su di lui. A parte che era difficilissimo riuscire a fermarlo...". 

E allora perché la squadra è andata così male? "Gli allenatori cambiavano, i tifosi si arrabbiavano perché un anno vinci la Coppa Uefa e poi con la stessa rosa l’anno dopo vai male. Avevi addirittura Baggio e non riuscivi a fare niente. Moratti era sempre presente, anche se rispetto a me aveva rapporti più con i francesi da maggior tempo in rosa: Djorkaeff e Cauet. Però insomma, alla fine ho imparato molto anche così. Ho avuto tanti maestri. Mi fa impressione pensare che all’inizio non pensavo nemmeno di fare il calciatore: fino a 16 anni giocavo solo per divertirmi. Ma poi il Rennes mi ha messo sotto contratto con la sua Primavera. Quindi ci ho pensato. E quando arrivi all’Inter e ti trovi giocatori come Zanetti, lo zio Bergomi, Roberto Baggio, inizia a pensare che qualcosa di diverso ci sia".

Poi il discorso si sposta sull'esperienza al Manchester United e sul rapporto con il suo maestro Ferguson: "Era come un padre per me, e non scherzo. Ma poi pariamo di una persona che era innamorata del calcio e di quello europeo in particolare. Ai miei primi allenamenti mi raccontava del Marsiglia e Psg, per farmi sentire a casa. All’inizio lo ascoltavi e basta. Ti raccontava la sua storia per filo e per segno, anche di quando era lui un giocatore. Sapeva di non essere forte. La cosa bella è che i primi anni stava anche tanto in campo con noi, batteva i rigori, giocava a calcio. A poco a poco era passato a delegare: aveva anche tanti altri impegni". 

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