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Zenga: "Dall'oratorio all'Inter: andò così. Che parata contro il Salisburgo. Su Sacchi e il gol di Caniggia..."

di Alessandro Cavasinni
Fonte: Corriere dello Sport

Lunga intervista di Walter Zenga al Corriere dello Sport. L'ex portiere dell'Inter, attuale tecnico del Crotone, ripercorre le tappe della sua carriera e racconta qualche aneddoto interessante. Ecco alcuni passaggi.

Quando passa dall’oratorio all’Inter? 
"Ai miei tempi ci volevano dieci anni per iniziare a giocare in una squadra, io ne avevo solo nove. La squadra del mio quartiere, la Macallesi, cercava un portiere e un mio amico, poi giocatore dell’Inter, Claudio Ambu, mi disse “vieni che stanno cercando un portiere”. Io andai e il responsabile, un uomo alto un metro e ottantacinque che mi sembrava un gigante mi guardò e mi disse “Quanti anni hai?” “Dieci” “E quando sei nato?” “Il 28 aprile del ’59”. Mentii, ma firmai il cartellino per giocare. Mi scoprirono. Mio padre firmò una dichiarazione in cui si assumeva la responsabilità è così finii a giocare contro quelli di tredici o quattordici anni. L’anno dopo andai all’Inter grazie a Italo Galbiati". 

Chi è stato l’allenatore più importante della sua vita? 
"Quando a vent’anni incontri un personaggio come Nedo Sonetti non puoi non restare ammaliato. Poi all’Inter passi da Trapattoni a Bagnoli per poi finire a Eriksson alla Sampdoria e, infine, a Thomas Rongen negli Stati Uniti. E poi Vicini, in nazionale. Sono loro quelli che più mi hanno fatto crescere e più mi hanno insegnato". 

Se lei dovesse dire qual è la parata più bella della sua vita di portiere? 
"Forse quella che feci in Nazionale a Berna contro la Svizzera su un colpo di testa o quella nell’ultima partita che ho giocato con l’Inter, la finale di Coppa Uefa con il Salisburgo. La sfiga di un portiere è che quando incontra altri giocatori la prima cosa che ti dicono è “Ciao, ti ricordi che gol ti ho fatto gol quella volta?”. Mai nessuno che ti dica “Ma che cacchio di parata mi hai fatto quella volta?”. Scopri così che ti ha fatto gol tantissima gente e ti vergogni". 

Lei ha il record di porta imbattuta della Nazionale nei campionati del ’90. Quanto le dispiace quel gol di Caniggia? 
"Quella Nazionale, impostata a metà anni ottanta da Vicini, perse la finale Under 21 ai rigori. Nell’88 agli Europei fummo eliminati 2-0 in semifinale che avevamo battuto tre mesi prima 4-1 in un’amichevole. Ai mondiali del ‘90 giocammo sette partite, ne vincemmo sei e ne pareggiammo una sola. Cosa voglio dire con questo? Che con un briciolo di fortuna quella Nazionale dall’86 al ’90 poteva veramente vincere gli Europei Under 21, Europei e Mondiale. Essere un po’ la Spagna del 2000. Non è un gol in più o in meno che determina una situazione. Mi dispiace quel gol perché non mi ha consentito di permettere ai miei compagni di finire un’altra partita imbattuti. Ed arrivare così alla finale di un Mondiale con sei partite vinte e con la porta immacolata. Avremmo giocato a Roma davanti a novantamila persone e la storia sarebbe stata bellissima". 

Lei invece in Nazionale non si trova molto bene con Sacchi? 
"Io faccio le prime cinque partite con Sacchi. Ironia della sorte non prendo mai gol. Sono l’unico portiere che può dire di aver giocato con Sacchi e di essere imbattuto. E poi ci sono delle scelte, legittime". 

Lei la buttò un po’ a ridere con la canzone degli 883 “Hanno ucciso l’uomo ragno” .
"Sì, cosa potevo fare di diverso? Se devo essere sincero mi ha fatto più male quando il presidente Pellegrini dell’Inter non mi comunicò che stava trattando con la Sampdoria l’acquisto di Pagliuca. Lì sì che mi fece male. Perché dopo ventidue anni di Inter meritavo dal signor Pellegrini un atteggiamento differente". 

Negli anni in cui lei era all’Inter nella Juventus c’era Tacconi. Che impressione le ha fatto vedere le dichiarazioni di Tacconi di questi giorni? Le ha viste? 
"No, non le voglio neanche commentare perché non sono da commentare". 


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