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A. Pereira: "Le parole di un dirigente dell'Inter dopo un ko con l'Atalanta furono come una pugnalata"

di Mattia Zangari

"L'Inter? Oggi posso dirti che non so se fosse il momento giusto per andarci". A raccontarlo è Alvaro Pereira, meteora uruguagia passata a Milano dal 2012 al 2014, protagonista di una chiacchierata conn 90min.com. "La squadra aveva vinto il Triplete nel 2010 e, anche se il club era in fase di ristrutturazione, aveva una rosa ampia e era pur sempre una big in un campionato importante come la Serie A - racconta il laterale del River Plate -. Però devo dirti che la mentalità era diversa, per esempio al Porto quando si perdeva era la Terza Guerra Mondiale. All’Inter non era proprio così, ricordo benissimo che in una partita contro l’Atalanta perdevamo 3-0, siamo entrati io e Ricky Alvarez e siamo andati sul 3-2 sfiorando la rimonta. Alla fine della partita, nonostante fossimo a metà campionato e lottavamo con la Juventus e venivamo da 9 vittorie consecutive, venne un dirigente e mi disse che andava bene così, che non si potevano vincere tutte le partite. Quella per me fu una pugnalata al cuore, perché pensavo che comunque noi fossimo l’Inter e dovessimo sempre giocare per vincere. Mi guardai con Ricky Alvarez e non volevamo credere a ciò che avevamo appena sentito. Io avevo un’idea diversa, per me eravamo l’Inter e dovevamo vincere su tutti i campi. A quel punto non nego che mi chiesi se fosse stata la scelta giusta. Chiesi spiegazioni a Zanetti con cui avevo un bellissimo rapporto e mi disse che anche a lui dava fastidio, però essendo lì dal 1995 era abituato e che il club era stato molto tempo senza riuscire a vincere trofei. Mi fece capire che negli anni precedenti al mio arrivo si era vinto tantissimo e quindi in quel momento potessero capitare episodi come quello di Bergamo. A quel punto capii però per me era proprio una questione personale. Io quando perdo, mangio male, dormo male e il giorno dopo continuo ad essere arrabbiato e sarò così fino a quando non mi ritirerò perché è semplicemente il mio modo di essere".

L'esperienza del Palito, però, non è tutta da dimenticare: "Ovviamente ci sono anche ricordi importanti, la mia vita cambiò ed è stato comunque il club più importante in cui ho giocato, coronando il sogno di indossare la stessa maglia vestita dai miei idoli Ruben Sosa e Recoba".

Forse il vero errore commesso da Pereira è legato alle tempistiche dell'arrivo: "Io nell'Inter attuale o in quella del Triplete? Volevo continuare ad essere al centro del progetto come in Portogallo, per poter esprimere al meglio le mie caratteristiche - precisa -. Mi è costato molto adattarmi al calcio italiano, in cui devi capire quando andare, quando aspettare e soprattutto cambiare il tuo sistema e il tuo modo di giocare da una partita all’altra in funzione di come giocherà la squadra avversaria. Venivo dal Porto in cui si giocava 4-3-3 e l’obiettivo era quello di vincere tutte le partite attaccando. All’Inter dovevi pensare all’avversario anche quando giocavi contro il Chievo Verona e magari ti dicevano che si partiva con un 5-3-2 e si doveva attendere l’avversario. Questo ha penalizzato le mie caratteristiche che invece sono riuscito a mettere in mostra al Porto. Io sono molto autocritico nei confronti di me stesso, quindi so perfettamente che ho avuto un problema di adattamento e che avrei potuto fare molto di più con la maglia dell’Inter". 


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