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Cordoba: "Inter, lasciarti un dolore. Calciopoli..."

di Christian Liotta

Ai microfoni del quotidiano L'Avvenire, Ivan Ramiro Cordoba, ex difensore e manager dell'Inter, ripercorre alcuni momenti ed aneddoti della sua lunga militanza in nerazzurro. Partendo, però, dal suo saluto al club: "Perché? Il discorso sarebbe lungo, ma se vogliamo semplificarlo con una metafora calcistica è come se l’allenatore mi avesse chiesto: “Iván se fai il bravo giocherai l’ultimo minuto”. Che è diverso da quando la squadra vince 1-0 e il mister all’89’ ti dice: “Dai Iván scaldati, tocca a te”. Ma i tifosi sanno che io per l’Inter ho dato e darei ancora la vita... È stata una separazione molto dolorosa. Confesso che ci soffro ancora, perché io non ho lavorato per l’Inter, io ho vissuto per quella società. Moratti? È stato lui in persona a volermi all’Inter. Moratti oltre che un signore del calcio è un grande esperto. Guardava tutte le videocassette dei campionati sudamericani, così quando Lippi gli chiese un centrale difensivo mi mandò a prendere al San Lorenzo de Almagro". 

Ivan Cordoba torna a parlare anche di José Mourinho e dell'anno di grazia della storia interista. Ricordando anche un episodio non felice: "Il 2010 resterà un anno mitico. Eravamo talmente consapevoli della nostra forza che entravamo in campo pensando già a che minuto avremmo fatto gol. Mourinho è il più grande motivatore che ci sia, ma con lui mi sono anche scontrato duramente", riferendosi allo sfogo post-sconfitta con l'Atalanta: "Il giorno dopo Mourinho era furioso, ma io più di lui, perché non conosceva bene la storia ed esagerò nello sminuire tutto quello che a noi era costato tantissimo in termini di sofferenza". E qui, si tocca il discorso Calciopoli: "Ogni volta che se ne parla si scatenano polemiche che non servono al calcio. Posso dire che noi giocatori avevamo spesso la sensazione che certe decisioni fossero un po’ strane. La giustizia sportiva e quella ordinaria hanno poi stabilito che effettivamente qualcosa c’è stato e per quanto mi riguarda questo chiude il cerchio e dimostra che le nostre sensazioni erano fondate. Ora mi auguro che questa triste pagina si chiuda una volta per tutte".

Parlando di Lazio-Inter 4-2, invece, Cordoba afferma: "Era una finale da vincere senza se e senza ma, e l’abbiamo buttata via solamente noi. Tra il primo e il secondo tempo è successo qualcosa che non so spiegare... Mi dispiace ancora, anche per Cuper, con lui la mentalità dell’Inter era comunque cambiata. Quando è arrivato Mancini ha trovato una squadra più quadrata, già indirizzata sulla strada del successo". Di tutti gli allenatori che ha avuto all’Inter, il colombiano non fa mistero di non essere rimasto legato proprio a tutti, "perché alcuni non hanno sposato la causa dell’Inter e per restare nel “cuore nerazzurro” questo va fatto contro tutto e contro tutti". Legame indissolubile, invece, quello con Giacinto Facchetti: "Ricordo ancora la sua gioia dopo la conquista della prima Coppa Italia del 2005, erano sette anni che l’Inter non vinceva niente. Poi il suo sorriso dolce, paterno. Da un letto d’ospedale prima di andarsene Giacinto ci incoraggiava: “Mi raccomando - diceva -, vincete, fateglielo vedere che siete i migliori”.

Un grande rammarico per Mario Balotelli: "E' una battaglia persa. Abbiamo provato ad aiutarlo e a fargli capire che stava sbagliando, ma Mario è fatto così e se non gli scatta qualcosa dentro le cose non cambieranno. Se hai solo il talento e non alleni la testa, allora non potrai mai diventare un campione vero". Ma l'Inter quando tornerà alla pari con la Juventus? "In questo momento all’Inter come in altri grandi club non ci sono soldi e, quindi, non è possibile fare acquisti di grande livello. Quando mi chiedono, perché in difesa manchino i Cordoba, i Samuel o i Materazzi, io rispondo: stiamo parlando di altri tempi e di altra passione. Mi viene da ridere, invece, quando sento dire a un giocatore che ha “paura degli avversari”. Io non ho mai avuto paura di nessuno: un difensore vero, in quanto uomo, può temere le malattie, le guerre o la povertà nel mondo, ma certo non gli attaccanti". 

 


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