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Pinamonti: "Io non da big? Chi lo dice non capisce nulla. Al Sassuolo non sono di passaggio"

di Mattia Zangari

Intervistato da Iltquotidiano.it, Andrea Pinamonti ha ricordato come è entrato a far parte della famiglia calcistica dell'Inter, dopo la tappa intermedia trascorsa al Chievo, scelta anche per motivi logistici: "A 8 anni capivo poco, pensavo solo a giocare - ha raccontato l'Arciere di Cles -. Dopo 4 o 5 partitelle in cui riuscii a mettermi in evidenza l’Inter fece, a mamma e papà, la proposta di trasferirsi tutti a Milano. Mi volevano nel loro Settore giovanile ma i dubbi erano tanti e prevalse il 'no grazie'. Trovammo un compromesso. L’Inter si accordò con il Chievo, molto più vicino al Trentino. Mi allenavo lì; un pulmino veniva a prendermi ogni giorno al casello di San Michele all’Adige".

Questo routine durò fino a quando Pina aveva 14 anni: "Poi l’Inter convinse mamma e papà a trasferirmi a Milano. Avrei continuato gli studi e potevo crescere nelle giovanili del club. Era il famoso sogno di ogni bambino che si stava realizzando. Per la prima volta stavo fuori casa senza i genitori; all’Inter furono bravi nel non farmi mancare nulla. Superai la nostalgia pensando a quei miei compagni che provenivano da Paesi stranieri e, quindi, con genitori lontani. Il club puntò molto su di me, tanto che a 16 anni mi proposero il mio primo contratto da professionista aggregandomi alla Primavera, con ragazzi tre anni più grandi di me. Mi trovavo bene, spesso ci si allenava assieme alla prima squadra e trovarsi di fronte a dei miti, magari proprio i tuoi miti, era emozionante".

Alla fine arrivò la tanto attesa chiamata in prima squadra, sublimazione di un percorso partito da lontano: "Era un pomeriggio di novembre del 2016. Ero in allenamento con la Primavera. Ad un tratto fermarono il lavoro e mi convocarono negli uffici; ero preoccupato di aver combinato qualche 'cazzata' e temevo un provvedimento. La prima squadra stava preparando la sfida con lo Sparta Praga di Europa League e mi dissero che si era infortunato Palacio. Il mister (Stefano Pioli, ndr) aveva bisogno di un attaccante di riserva e scelsero me. Mi vennero i brividi. Fu il primo grande passo e non fu l’unico. Due settimane dopo Pioli mi convocò anche per il ritorno schierandomi fra i titolari. Eravamo già eliminati ma per me fu il momento della fiducia Prima sei un tifoso e un attimo dopo sei un collega dei tuoi miti. Allenarmi con Icardi, che era il mio idolo, è stato fantastico. Era gentile. Mi aiutava".

Poi, nell’estate del 2018, il passaggio al Frosinone poi il ritorno in nerazzurro con, in panchina, Antonio Conte: "Con il Frosinone è stata la mia prima vera stagione in Serie A perché giocai con regolarità poi tornai all’Inter e fu un altro passo importante. Era il 2021, vincemmo lo scudetto ed esordii in Champions League. Segnai anche un gol, in campionato, contro la Sampdoria".

In seguito i prestiti all'Empoli e, infine, il trasferimento a titolo definitivo al Sassuolo: "Penso che chi non mi considera da grande club capisca poco o nulla. Sapete quanti ragazzi fanno il mio stesso percorso ma in Serie A non ci arrivano? Oppure la raggiungono ma tornano subito indietro? Credo di essere uno dei pochi giovani passati dalle giovanili alla Serie A senza essere mai stati in B. Io lavoro per dimostrare che valgo questa categoria. Sto bene al Sassuolo, non sono di passaggio. Il Sassuolo ha investito molto per avermi e qui ho tante aspettative. Voglio conquistarle ma con testa perché le ambizioni, a volte, possono diventare dei limiti. Qui c’è il clima giusto". 


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