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Ranieri svela: "Ecco quale fu il mio problema all'Inter"

di Alessandro Cavasinni
Fonte: Corriere dello Sport

Claudio Ranieri, intervistato dal Corriere dello Sport, ricorda la sua breve parentesi sulla panchina dell'Inter: "Il mio problema, paradossalmente, fu che andammo troppo bene all’inizio: sette vittorie consecutive, primi nel girone di Champions. Poi la squadra ebbe un calo e la situazione si fece difficile. Con Moratti ho mantenuto un ottimo rapporto. Anche perché io sono sempre stato molto chiaro con i presidenti. Se mi chiamano li ascolto. Se il loro progetto mi convince, lo sposo totalmente e mi faccio in quattro per attuarlo. Ma poi, sul piano tecnico, nessuno deve dirmi nulla, deve cercare di influenzare le mie scelte. Sono io che rispondo di quello che faccio, nel bene e nel male. Non consento che nessuno mi dica cosa debbo fare nel mio campo, come io non mi impiccio del lavoro altrui". 

Allenerebbe l'Italia dopo l'esperienza con la Nazionale greca? 
"Guardi, io ho un impegno triennale con il Leicester e ora sono concentrato su questo, come immagina. Devo fare e voglio fare un buon lavoro, per questo club. Poi non so, non si può mai dire mai. Ma le ho detto le mie caratteristiche di allenatore...". 
 
Chi è il giocatore più intelligente che ha allenato? 
"Tantissimi. Ma se mi chiede un nome le dico Lampard. Un genio calcistico, con un senso tattico spettacolare. Con lui discutere uno schema e vederlo realizzato è la stessa cosa". 
 
Quali sono i difetti del calcio italiano? 
"La fretta, la fretta, la fretta. Tutto e subito. Si fanno grandi progetti e alla prima partita persa salta tutto. Bisogna ritrovare il gusto di investire nel tempo, di non farsi dominare dall’emotività e da condizionamenti esterni. E bisogna investire sui giovani, specie su quelli dei vivai. In Inghilterra c’è una norma che stabilisce che per acquistare un calciatore extracomunitario questo deve aver almeno giocato nella nazionale del suo paese. Così si evita l’inflazione e si coltivano i vivai. A proposito dei quali vorrei dire che è decisivo istruire gli istruttori, investire su chi deve insegnare calcio. Maestri sbagliati possono far perdere molti talenti". 
 
Come racconterebbe, lei che è al centro di una magnifica avventura umana e calcistica, il football a un bambino? 
"Gli direi che ci sono due tipi di calcio. Quello che si sente dentro, come una passione viva, e quello che poi può diventare una professione e che richiede sacrificio, voglia di lottare, determinazione. Sono due tipi di calcio, che bisogna far convivere. Perché così mai nulla è impossibile". 
 

 


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