Zanetti: "Armi diverse rispetto al City, ma dobbiamo rispettare la storia dei club"
Lunga intervista dell'ex capitano Javier Zanetti al Clarin, dove il vice-presidente dell'Inter è tornato ancora una volta sul suo passaggio dal Banfield all'Inter e l'altro importante snodo di carriera nel passaggio da giocatore a dirigente.
Quando sei passato dal Banfield all'Inter pensavi che non saresti mai tornato?
"No, ero giovane, avevo delle paure e il mio salto è stato grandissimo, da Banfield all'Inter, ma l'ho vissuto perché era la mia grande occasione. Appena arrivato all'Inter ho detto: 'Devo fare il possibile, prima, per restare'. Perché in quel momento potevano giocare tre stranieri e l'Inter aveva portato Rambert, Paul Ince, Roberto Carlos. Ero il quarto... Ma mi sono posto l'obiettivo di restare. Ho cominciato ad allenarmi, il mister ha cominciato a piacermi, finché un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: 'Guarda, tra 15 giorni esordiremo con il Vicenza per il campionato e tu giocherai a destra e Roberto Carlos al sinistra". Ed è lì che ho iniziato. Era Ottavio Bianchi che era stato l'allenatore di Diego al Napoli. La paura era sapere se ero pronto per il grande salto. La cosa più normale da fare era passare da Banfield a una squadra più importante dell'Argentina e da lì il salto in Europa. Ma no, io sono passato direttamente da Banfield all'Inter. Ma ero convinto di ciò che facevo e lo volevo dimostrare".
Com'è stato il passaggio dall'essere un idolo a dirigente?
"Per essere un leader devi prepararti. Quando mi hanno detto che sarei diventato vicepresidente dell'Inter ero felice ma allo stesso tempo sapevo che era una grande responsabilità. Stavo partendo da zero. Il calciatore era rimasto nel passato. Per questo mi sono iscritto all'università e sono tornato a studiare. Non puoi pensare di essere un buon dirigente perché sei stato un grande calciatore. Volevo essere un dirigente con una visione a 360 gradi. E sono andato all'Università Bocconi per studiare Sport Mangment per formarmi in marketing, finanza, relazioni internazionali e management sportivo. Perché questo amplia le tue conoscenze e ti senti utile in altre aree del club".
Come si fa a competere con un Manchester City, ad esempio, che sembra avere un portafoglio infinito?
“È vero che le armi sono diverse. Ma tutti devono rispettare la storia del club. Quando hai un piano strategico ben definito, devi rispettarlo e portarlo a termine. È una bella sfida. La grande sfida di tutti i club del mondo è la sostenibilità e si lavora per questo".
Pensi di poter essere allenatore in un club argentino?
"La verità è che non ci ho mai pensato. Vivo fortemente il mio presente in Italia, ogni giorno cerco di allenarmi e imparare. Sicuramente sono realtà diverse e si sono accentuate di più con il Coronavirus. Oggi in Argentina molti club scommettono sui giovani, ma non per convinzione, ma per necessità, è così che devono sopravvivere".