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Cordoba: ''C'era una forza strana che ci ostacolava. Su Mancini e Mourinho..."

di Alessandro Cavasinni
Fonte: dall'inviato Mattia Zangari

Arrivano anche le parole di Ivan Ramiro Cordoba dal Mondadori Store in cui è in corso la presentazione del libro 'Combattere da uomo'. Il colombiano racconta l'origine dei successi all'Inter. "Un gruppo dentro al gruppo, un gruppo che alimenta il gruppo. In quel momento, agli inizi, noi cercavamo di fare tutto al massimo, ma qualche forza strana non ci lasciava andare più in là. Poi abbiamo saputo qual era questa forza... (il riferimento è a Calciopoli, ndr). Ci sono state serate molto intense, molto particolari. Quell'anima che ha portato avanti la squadra derivava anche da sconfitte molto pesanti. Le gioie che abbiamo avuto dopo non sarebbero mai state così belle senza quei momenti difficili. Mi vengono ancora in mente quelle immagini quando alzi la prima Coppa Italia. Forse avevamo festeggiato un po' esageratamente, ma per noi era come vincere una Champions. Da lì è cominciato tutto".

Poi una stoccata agli arbitri. "Tante volte dico che gli arbitri dovrebbero giocare a calcio a un certo livello e poi diventare arbitri. Solo così capisci quando un giocatore si è buttato, quando ha fatto finta - spiega Cordoba -. Io mi chiedevo sempre: 'Come mai gli arbitri non capiscono che questo si è buttato?'. Per me manca questo, ossia il fatto di non avere avuto esperienza da calciatore. Il calcio è agonismo, sudore, a volte sangue. E' così, lo devi vivere, non è possibile che nessuno ti possa toccare: allora vai a giocare con le bambole! Mi è capitato di dirlo a Totti, a Inzaghi... Grandi campioni, per carità. Però mi hanno fatto arrabbiare parecchio".​

Perché Cordoba scelse l'Inter? "L'Inter è speciale per un giocatore sudamericano - ammette l'ex numero 2 nerazzurro -. Tutti sanno che arrivano in una casa, c'è una sensazione particolare. E' la storia che ti chiama. Guardi l'elenco dei grandi giocatori e pensi che tu non puoi essere uno dei tanti sudamericani, ma devi entrare nella lista di chi conta. Il gol al Napoli? Ero anche in dubbio, avevo problemi al ginocchio che era stato infortunato. C'è il calcio d'angolo, e io di solito scappo subito dietro quando la prima giocata non va a buon fine. Invece quella volta rimasi in area e trovai un angolo impossibile colpendo la palla così, all'improvviso".

Poi sui tecnici: "Ho avuto un rapporto speciale con Mancini, perché ha dimostrato piena fiducia in me. Ricordo una volta che ero infortunato alla caviglia e lui mi fece giocare anche in Coppa Italia, dove di solito si schiera una formazione diversa. Uno gioca prima di tutto per la squadra, poi per sé stesso, perché un po' di ego non guasta, poi per la società e il presidente che ti sopporta e poi l'allenatore. Un futuro in panchina? Non mi interessa, forse con i piccoli... Ma non ho il carattere per fare l'allenatore. Mourinho è un fenomeno, perché sa come e quando utilizzare nel miglior modo possibile i suoi giocatori".

Si parla quindi del Triplete: "La motivazione data dalla finale di Champions League ci ha fatto vincere Coppa Italia e campionato. Volevamo fare il Triplete, anche quando la Roma era sopra di noi sapevamo che prima o poi avrebbe sbagliato. Ci sono stati pochi momenti in cui abbiamo abbassato la guardia, ma alla fine ce l'abbiamo fatta. In questi casi ci vuole anche la fede che ti spinge al di là di ciò che sei capace. Quando i tifosi cantavano il mio nome mettevo il turbo, per questo erano importantissimi. Erano il dodicesimo giocatore".

Chiusura su Murillo: "Lui con il mio stesso carattere? Credo di no. Secondo me lui sente l'Inter dentro ed è difficile che vada via. Lui ha avuto la sua storia con Inter Campus, secondo me dipende dal giocatore, dai progetti e da come vuoi trasmettere le tue sensazioni per la squadra, non dall'Inter".


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