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Da Varese a Milano, Marotta si racconta: "Inter un brand che porta dentro valori. Ecco il mio segreto"

di Stefano Bertocchi

"Ho iniziato da un oratorio del CSI; il primo approccio con un sistema ludico-sportivo organizzato è stato quello dell’oratorio di un paesino di Varese che si chiama Avigno dove ho frequentato le scuole elementari e medie e visto nascere il desiderio di ricoprire in futuro il ruolo di dirigente". A ripercorrere i primi passi della sua carriera dirigenziale è Beppe Marotta, ad sport dell'Inter protagonista di una lunga intervista rilasciata al magazine Sportium.

"Questa aspirazione parte proprio da ragazzino all’interno dell’oratorio dove, accanto all’aspetto ludico-sportivo del gioco, il sogno del dirigente sportivo ha iniziato a mettere radici - racconta il dirigente varesino, ricordando i suoi trascorsi -. Un’altra circostanza favorevole ha coinciso poi con la vicinanza dell’oratorio allo stadio di Varese dove, in quel momento, la squadra di calcio e quella di basket giocavano ad altissimi livelli. La squadra di calcio era in Serie A e la squadra di basket era ai vertici del mondo della pallacanestro. Questo insieme di elementi ha fatto si che proprio da lì iniziasse la mia attività dirigenziale nel mondo del calcio perché, dalla gavetta nel Varese Calcio, sono passato a ricoprire vari ruoli fino ad arrivare ad essere direttore generale ed iniziare la mia carriera".

Ma qual è il segretto di Marotta, che dopo aver vinto tanto con la Juve è riuscito a lavorare in quella direzione anche all'Inter? "Il mio segreto è quello di saper costruire una squadra vincente, in campo e fuori, che non è quella sotto la luce dei riflettori, bensì quella composta da persone che sono estremamente preziose per il raggiungimento degli obiettivi sui quali lavoriamo quotidianamente - spiega l'ad dell'Inter -. All'interno di un'organizzazione ci sono tante figure, dalle più semplici a quelle che hanno maggiori responsablità, ma l'importante è creare una mentalità vincente. E mentalità vincente non significa solo raggiungere un obiettivo vincente, ma saper dare il proprio massimo in qualsiasi cosa uno faccia. Questo è il concetto di squadra, di team, il concetto dello stare insieme avendo sia degli obiettivi sia senso di responsabilità e coscienza". 

Secondo il dirigente nerazzurro, inoltre, all'interno di una società "i settori giovanili dei club svolgono un ruolo fondamentale. A mio parere i grandi club dovrebbero investire sempre di più bello sviluppo di questa attività formativa. Questo significa in primis garantire le strutture adeguate perché, se mancano le strutture, non puoi fare attività. In secondo luogo è necessario che coloro che sono preposti ad insegnare abbiano le competenze per farlo, non solo dal punto di vista sportivo ma anche umano. La competenza la sia acquisisce attraverso la formazione e l’esperienza. Dunque la valenza del settore giovanile di una squadra di calcio è a mio giudizio  necessaria, indispensabile ed obbligatoria".

Durante la lunga chiacchierata si parla ovviamente anche dell'Inter e della sua esperienza a Milano: "L’Inter è una società che ha ormai più di 115 anni. Al di là di tutti i cambiamenti che ci sono stati nel corso degli anni, si tratta di un brand che porta dentro valori, emozioni e sofferenze centenarie - spiega -. La continuità, legata anche all’essere testimoni della propria epoca, deve essere soprattutto conservare quelli che sono i tratti identitari che hanno ispirato la creazione dell’Inter. I valori che hanno fatto parte dei protagonisti della storia, dei tanti giocatori e allenatori che hanno segnato indelebilmente questo club. Oggi il compito delle giovani leve è quello di custodire come patrimonio e tesoro non solo il trofeo, ma anche i valori che hanno consentito di conquistarlo".

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