Difesa, Affari esteri e Sviluppo economico: la poker face del Governo inzaghiano all'insegna di europeismo
Ministri e Ministeri che cambiano, si evolvono (o involvono, che suona meglio visto i tempi)... e mentre a Palazzo Chigi nascono Ministeri e dicasteri che fanno storcere il naso, qui non si fa politica e pace all'anima dei buoni, tradizionali, Ministero per gli Affari europei, dello Sviluppo economico o della difesa che improvvisamente diventano Ministero del Made in Italy, della sovranità alimentare, per la Famiglia e la natalità e il passo indietro verso il regresso appare piuttosto evidente. Ma qui non si fa politica, nel pomeriggio di ieri a San Siro, invece, sì. Con buona pace della Presidente, a riesumare i vecchi dicasteri di un governo all'insegna dell'europeismo è Simone Inzaghi che, dal basso del suo umile posizionamento da underdog, si ritrova a festeggiare un upset che sbaraglia sondaggi e proiezioni di quelle che il 25 agosto scorso davano per spacciata la sua Inter. "In pochi pensavano avremmo passato il turno" dice non a caso Federico Dimarco alle tv immediatamente dopo il 4-0 rifilato al povero Viktoria Plzen, relegato ai fanalini di coda di un girone che, come l'ex Verona asserisce, per diritto si era guadagnato il titolo di "più difficile della competizione".
POKER FACE - Come dimenticare l'imperturbabile espressione di Javier Zanetti a Nyon durante il sorteggio che aveva delineato gli accoppiamenti delle 32 squadre nei vari gruppi che avrebbero composto il mosaico della massima competizione europea!?! Imperturbabile, ma con uno sguardo velatamente pensieroso che lasciava facilmente interpretare un "ammazza che sfiga" che nessuna parola di rassicurazione avrebbe potuto smussare. Voglia di misurarsi con le grandi che faceva terribilmente a botte con il terrore di non riuscire a replicare l'impresa centrata lo scorso anno che quel "ah sh*t, here we go again" (made by Gta Sant'Andreas), postato ironicamente dall'Inter, aveva perfettamente parafrasato. Bayern Monaco, Barcellona, Inter e Viktoria Plzen: un girone di ferro che lasciava pochi spiragli alle speranze di approdare alla fase ad eliminazione diretta della competizione e che, alla luce di un inizio stagionale da dimenticare, aveva già trovato un terreno di fertile, deprimente maniavantismo e disfattismo aprioristico. Eppure il maniavantismo tipico da intertriste non era, in questo caso, del tutto ingiustificato e visti i numeri della squadra milanese, ritenere il passaggio del turno un'impresa impossibile o quasi non sarebbe stato, di sicuro, delittuoso. Ma lasciare agli avversari la soddisfazione di far credere di poter incutere terrore ancor prima di cominciare non è peculiare di Javier Zanetti e sulle note di Lady Gaga, l'ex capitano canticchiava quel tanto famoso "can't read my, can't read my, no, he can't read my poker face".
GOVERNO E GOVERNATORI - Allo storming di emozioni che aveva caratterizzato il preambolo di questa cavalcata europea succede un calendario altrettanto infame che apre male le danze del viaggio calcistico continentale: ko casalingo contro un Bayern che non ha lasciato speranze agli undici (più cambi) nerazzurri e il primo di uno sfiorato naufragio che aveva messo Simone Inzaghi in una posizione di scomodità che Zhang stronca definitivamente solo ieri sera nel post vittoria contro i cechi. "Inzaghi è un top allenatore, molto resiliente di fronte alle difficoltà, è sempre in grado di superarle. Abbiamo visto tutte le qualità" ha dichiarato senza mezzi termini il numero uno interista che festeggiava proprio ieri i suoi quattro anni da Presidente della Beneamata. Made in Milan, più che il poco poco spaventoso 'Made in Italy' meloniano, recita uno degli slogan del club di Viale della Liberazione, e difatti - Bayern a parte - l'Inter di Inzaghi la vera grande mossa per oltrepassare le Alpi (e il girone) la propizia proprio a Milano, dove (dopo il successo esterno in casa del Viktoria) batte il Barcellona per 1-0 grazie ad Hakan Calhanoglu ma ad un'intera squadra che ritrova la voglia di dimostrare agli altri e in primis a se stessa che cadere è concesso, ma rialzarsi è d'obbligo. Cadi sette volte, rialzati otto. Nel caso specifico dell'Inter cadi cinque volte (tra campionato e Ucl), rialzati sei. E così fu. Il gol del turco in quello scorso 4 ottobre cambia radicalmente genere musicale e il drammatico e deprimente tono d'inizio stagione cambia frequenze modificandone altresì le vibrazioni. Ne consegue infatti un filotto di risultati positivi che non trova i tre punti, ma fa parimenti godere, esclusivamente in un Camp Nou che per lunghi tratti ha rischiato il saccheggio interista. Il 3-3 finale di Barcellona però è servito anche a migliorare il tiro e Inzaghi questa volta diminuisce i rischi. Questa non è una partita da sbagliare e a chi banalmente pensava di averla già in pugno, in concomitanza con i tre punti dunque il passaggio del turno, risponde con un'attenta e umile strategia che parte con un preliminare studio dell'avversario, volenteroso ma inferiore ai padroni di casa che pur scoperchiandone i limiti quasi immediatamente lo trattano con rispetto e giusta cautela. Lo ammette lo stesso Inzaghi nel post partita quando dice che alla vigilia la sua squadra "aveva tutto da perdere"; ma i suoi ragazzi, ai quali rivolge infiniti plausi, giocano un match impeccabile che trova grande interpretazione da parte di ognuno. Dalla difesa dove torna a giganteggiare Alessandro Bastoni, all'attacco dove un immenso Edin Dzeko si prende l'ovazione e il titolo di MVP del match, passando per il centrocampo dove a dispensare lezioni di calcio e maestria troviamo cinque insormontabili mastini, uno più eccellente dell'altro. Mkhitaryan la apre, Dzeko prima raddoppia poi triplica, prima della grande chiusura da maestro di Romelu Lukaku, finalmente tornato in campo dopo due lunghissimi e sofferti mesi lontano dal rettangolo verde. Insomma, Simone Inzaghi trova i perfetti attori a cui affidare il suo governo. Un esecutivo che facendo dei ministeri di Difesa, Affari esteri e Sviluppo economico il suo cavallo di battaglia, consacra definitivamente forza, solidità, compattezza e audacia che fanno di questa coalizione un gruppo capace e degno di riprendersi un ruolo da protagonista in ambito nazionale e continentale con buona pace di antieuropeismo e made in Italy, sbaragliati a dispetto dei pronostici con una faccia da poker che sa di ottavi di finale e di oltre 55 milioni di proventi.