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Errori, folgorazioni e colpi di scena: il rapporto tra Moratti e gli allenatori

di Christian Liotta

Sono 64 gli allenatori che nel corso di 105 anni si sono succeduti sulla panchina dell’Inter, dei quali gli ultimi 19 sotto la presidenza di Massimo Moratti. Quello tra il patron nerazzurro uscente e i suoi tecnici è stato probabilmente uno dei capitoli più caratterizzati da alti e bassi della sua intera gestione nerazzurra. Soprattutto nei primi anni, la storia è nota, Moratti si è contraddistinto per essere un mangia-allenatori, scelte purtroppo condizionate dalla voglia di raggiungere quei risultati che per anni non sono riusciti ad arrivare. Poi sono arrivati i mister giusti, quelli dei trionfi, quelli che così come il loro presidente hanno lasciato un segno indelebile nella storia nerazzurra. E prima dell’ultimo, Walter Mazzarri, c’è stato anche il colpo di fulmine, l’amore a prima vista che avrebbe potuto segnare una svolta importante e avveniristica e che purtroppo è finito male, frantumato da un’annata disastrosa.

In principio, vi fu Ottavio Bianchi: il tecnico ereditato dalla precedente gestione di Ernesto Pellegrini che si stava trascinando verso una nuova annata anonima, e che era anche pronto a farsi da parte appena avuta notizia del cambio societario ma fu invitato a rimanere dal nuovo proprietario. Fu l’Inter protagonista di una striscia positiva che comprese anche un derby vinto 3-1, ma in compenso tra i due tecnici non c’era un dialogo particolare. Pur tuttavia, Moratti comprese che i giocatori erano dalla parte del mister e, nonostante una stagione chiusa con una qualificazione all’Uefa arrivata all’ultimo secondo del match col Padova, Bianchi fu confermato. Arriva il primo mercato estivo del presidente, con nomi come Javier Zanetti, Roberto Carlos, Paul Ince, Maurizio Ganz e Benito Carbone (e la cessione di Dennis Bergkamp all’Arsenal), ma si parte malissimo inciampando col Lugano in Coppa Uefa e con due sconfitte in campionato. Quella col Napoli è fatale a Bianchi, che viene sollevato dall’incarico.

Dopo un intermezzo con Luis Suarez, arriva il primo grande pallino di Moratti: Roy Hodgson, artefice della qualificazione della Svizzera ai Mondiali 1994 e presentato come il fautore di un gioco innovativo. In realtà, l’inglese si farà ricordare più per le divertenti comparsate con la Gialappa’s Band a Mai Dire Gol per quanto fatto in campo, e soprattutto per una scelta che farà sentire le sue conseguenze per anni: accantonare Roberto Carlos spingendo per la cessione al Real Madrid asserendo: “Non sa difendere”, e preferendogli Alessandro Pistone. L’Inter l’anno dopo arriverà terza con gente come Ivan Zamorano e Youri Djorkaeff, vincerà alla grande un derby per 3-1, ma perderà in casa ai rigori la finale di Coppa Uefa contro lo Schalke 04, gara che rimarrà nella storia anche per la sfuriata di Javier Zanetti dopo una sostituzione. Segnale che i rapporti sono definitivamente a sud e che porta alle dimissioni del tecnico. La stagione la chiuderà Luciano Castellini che vincerà le ultime due sfide di campionato.

Il 1997-1998 è l’anno che Moratti auspica essere quello giusto: arriva Ronaldo a infiammare la platea, arrivano anche giocatori come Alvaro Recoba e Diego Simeone, e sulla panchina nerazzurra siede Gigi Simoni, che portò l’anno prima il Napoli in finale di Coppa Italia salvo poi venire esonerato anzitempo. La squadra, trascinata dalle magie del Fenomeno, comanda per larghi tratti il campionato e, nonostante qualche brutto passaggio a vuoto come il ko in Coppa Italia per 5-0 nel derby, sembra avere tutte le carte in regola per portare a casa il fatidico scudetto, che poi svanirà in quel maledetto giorno d’aprile a Torino che tutti sappiamo. Moratti si consolerà con la vittoria in Coppa Uefa, il primo trofeo della sua gestione. Ciononostante, tra Moratti e Simoni i rapporti non sempre sono idilliaci: il tecnico emiliano sarà confermato per la stagione successiva, la prima con Roberto Baggio, grande sogno del presidente. L’inizio è fra alti e bassi, col culmine della sera di Champions League contro il Real Madrid, con lo show di Baggio che però parte dalla panchina, scelta che irrita il presidente che, si racconta, nell’intervallo fece pressioni per l’ingresso del numero 10. La rottura  dopo una vittoria in extremis con la Salernitana, con l’Inter nel bel mezzo del gruppone scudetto. Simoni viene allontanato con un’accusa ben precisa: “Non dà gioco alla squadra”.

Per dare la sferzata viene chiamato Mircea Lucescu: il romeno inizialmente propone un gioco che specie in casa regala gol a grappoli, ma il gruppo alla lunga si sfibra, fra malesseri di Ronaldo, prove deludenti e un’eliminazione sfortunata dalla Champions League dopo la quale la squadra si sfalda. Il 4-0 a Marassi contro la pericolante Sampdoria porta Lucescu alle dimissioni; l’annata nera vedrà infine succedersi al timone due vecchie conoscenze come Luciano Castellini e ancora Roy Hodgson, che altro non sarà che l’apripista per il futuro allenatore, Marcello Lippi. Nel frattempo, a maggio 1999, Moratti annuncia le clamorose dimissioni, seguite da quelle dei suoi collaboratori.

Non resisterà molto, comunque, lontano dall’Inter: in estate torna alla presidenza, inserisce in società Gabriele Oriali e regala all’ex tecnico della rivale Juventus Christian Vieri, da affiancare a Ronaldo e Roberto Baggio. L’inizio è ottimo, la squadra gioca a livelli inusitati, poi qualcosa si rompe: in primis, il ginocchio di Ronaldo che contro il Lecce mette la gamba in fallo e rimane fermo per qualche mese per la lesione del tendine rotuleo, che poi si romperà completamente la sera del suo ritorno in campo, ad aprile con la Lazio. Anche Vieri accusa problemi in serie, la squadra perde consistenza chiudendo al quarto posto e agganciando il preliminare di Champions superando il Parma nello spareggio di Verona con l’ultima grande recita del Divin Codino in nerazzurro. Baggio che però durante l’anno subirà l’ostracismo dell’ex ct, che a un certo punto lo accantona preferendogli in un caso anche la meteora Nello Russo, fino a portarlo alla partenza. E a questo si aggiunge anche il difficile rapporto con altri giocatori, tra i quali anche Recoba: troppo per Moratti, che alla fine decide di non concedere più carta bianca al suo allenatore.

Tutto esplode irrimediabilmente dopo la prima giornata del campionato 2000-2001, con l’inquietante prologo dell’eliminazione dai preliminari di Champions League per mano dell’Helsingborgs: l’Inter viene sconfitta a Reggio Calabria, e nel dopo partita, in sala stampa, Lippi si lascia andare ad una celeberrima invettiva, nella quale invita il presidente a “mandare via l’allenatore” e a dare ai giocatori “tanti calci nel culo”. Non si sa se il secondo consiglio sia stato accettato, ma il primo sì. Lippi lascerà l’Inter per tornare l’anno dopo alla Juve prendendo il posto di Carlo Ancelotti e affermando: “Io sono sempre stato juventino dentro, anche altrove”. Arriva Marco Tardelli a prendere una squadra sull’orlo di una crisi di nervi, che si regge sulle prodezze dei soli Vieri e Recoba che guidano un gruppo composto da tanti giocatori inadeguati, e che subirà l’onta del derby perso per 0-6 e dell’eliminazione in Coppa Uefa dai semisconosciuti spagnoli dell’Alaves. Moratti prende di petto la situazione e prova a cambiare pagina, regalando all’Inter una nuova fase, basata sulla disciplina e sul rigore. L’uomo giusto per farlo arriva dalla Spagna. E’ il generale Hector Cuper.

El Hombre Vertical si presenta con il pedigree di allenatore col pugno duro e intransigente, ma anche con tre finali europee consecutive perse alla guida di Mallorca e Valencia. Ciononostante, Cuper riesce a plasmare bene il gruppo, ritrovando i gol di Ronaldo e Vieri, ben sostituiti da Mohamed Kallon e Nicola Ventola almeno nelle fasi iniziali, vincendo anche un derby col gol clamoroso di Vieri bravo a metterci il ginocchio e regalando contro la Roma una prestazione perfetta. Sembra l’anno buono, l’entusiasmo trabocca, ma proprio in dirittura d’arrivo l’Inter cede clamorosamente, implodendo in quel maledetto giorno di maggio quando contro la Lazio lo scudetto si dissolve nel peggiore dei modi; i nerazzurri chiudono l’anno addirittura al terzo posto, superati in extremis anche dalla Roma.

L’estate successiva è quella della dolorosa scelta: Ronaldo e Cuper denunciano la loro incompatibilità, e chiamato a doversi liberare di uno dei due, alla fine, con dolore, Moratti opta per la partenza del Fenomeno, volato via l’ultimo giorno d’agosto in direzione Madrid. Arriveranno quell’anno Fabio Cannavaro e Hernan Crespo, la squadra parte benissimo sul piano dei risultati, poi in campionato, complici anche gli infortuni in serie, perderà il contatto con la vetta chiudendo comunque alla piazza d’onore, e in Champions League arriva a un passo dalla finalissima di Manchester, sfumata per colpa di un gol di troppo subito per mano del solito Shevchenko nel derby di ritorno. L’acrobata Martins non basta, dopo la partita Javier Zanetti si lascia andare ad un pianto che grida vendetta.

Il terzo anno di Cuper inizia sotto il segno di… Roberto Mancini. Si comincia già a fare il nome dell’ex leader della Sampdoria, sogno da giocatore del presidente, come allenatore nerazzurro; ma alla fine l’argentino resiste, anche se l’entusiasmo di due anni prima si è dissolto. La squadra fatica, centra una grande impresa ad Highbury contro l’Arsenal ma già prima Moratti comincia a nutrire scetticismo verso il tecnico argentino. Che salta quando i nerazzurri pareggiano a Brescia con Baggio che dà spettacolo ma stavolta dalle parti delle Rondinelle; al suo posto Alberto Zaccheroni, campione d’Italia quattro anni prima col Milan. Il romagnolo chiude la stagione con un rocambolesco piazzamento Champions, un’umiliante batosta a San Siro proprio dall’Arsenal con Thierry Henry mattatore, e un derby perso 3-2 dopo essere stati avanti per 2-0. Sembra che nonostante tutto Zac debba mantenere il suo posto, e invece, nel giugno 2004, Moratti opta per l’esonero; e così, arriva il fatidico momento di Roberto Mancini.

Il tecnico jesino approda all’Inter e da subito offre la sensazione, pur leggera, che qualcosa stia cambiando: è l’Inter che scopre il talento di Esteban Cambiasso, che gode del migliore Adriano di sempre, e che con Veron e Stankovic ha due stelle in mezzo al campo. In campionato saranno perse solo due partite, quella con il Milan e a Messina, col gol beffa in pieno recupero della meteora Rafael; ma arriveranno troppi pareggi che pregiudicheranno la corsa scudetto. In compenso, dopo otto anni, sarà alzato al cielo un trofeo: la Coppa Italia, conquistata a spese della Roma, seguita in agosto dalla Supercoppa Italiana vinta a spese della Juve. L’anno dopo la squadra chiuderà alle spalle dell’inafferrabile Juventus e del Milan e torna a vincere la Coppa Italia. E’ l’anno 2006, e in quell’estate succederà qualcosa di non immaginabile e non pronosticabile.

 Scoppia infatti lo scandalo Calciopoli, il calcio italiano vive una fase di reset, e questa nuova era sarà inizialmente tutta all’insegna dei colori nerazzurri. Arrivano alla corte del Mancio assi come Zlatan Ibrahimovic, Patrick Vieira, Maicon; la squadra dilaga in campionato conquistando lo scudetto con 97 punti all’attivo, demolendo record su record. Unica pecca, la corsa in Champions League che si chiuderà agli ottavi contro il Valencia che beffa i nerazzurri pareggiando 2-2 a San Siro e difendendo lo 0-0 al ritorno. L’anno dopo, la storia si ripete: stavolta la vittoria dello scudetto è sofferta, perché l’Inter arriva a dilapidare un patrimonio enorme di punti ma riesce a respingere l’ultimo assalto della Roma con la doppietta di Zlatan Ibrahimovic a Parma negli ultimi 45 minuti di campionato. Ancora una volta, in Champions si esce agli ottavi per mano del Liverpool, e dopo la sconfitta del ritorno il tecnico si lascia andare ad una dichiarazione pesante: “Saranno i miei ultimi mesi alla guida dell’Inter”. Moratti, che pure ha voluto bene, e molto, al Mancio, non la prende bene, e comincia a intelaiare il grande arrivo, quello di José Mourinho. Che il 30 maggio incontra il presidente a Parigi e il 2 giugno diventa ufficialmente il nuovo allenatore nerazzurro.

Cos’è che non si sa, di Mourinho? Nulla, anzi il capitolo dello Special One sarebbe degno di un discorso a parte. Qui ci basti dire che il feeling creatosi tra Moratti e Mourinho, così come tra Mou e tutto il mondo interista, è qualcosa di unico e difficilmente descrivibile a parole. E non solo per i risultati in campo, culminati con quella splendida notte di Madrid, peraltro apice di un crescendo rossiniano di successi in Italia e in Europa che ha permesso ai nerazzurri di conquistare anche un altro scudetto, dopo quello più comodo (anche perché vinto sui divani di Appiano mentre il Milan soccombeva a Udine) del 2009, intessuto da un gruppo magnifico, che ha perso Ibrahimovic ma ha accolto Milito, Sneijder, Eto'o, Thiago Motta, Lucio. Ma anche e soprattutto perché Mou è stato come nessuno il paladino dei valori dell’Inter e del suo popolo, un condottiero sempre pronto ad andare solo contro tutti e scatenare putiferi mediatici e polveroni pubblici anche pesanti, sempre allo scopo di proteggere la sua squadra, randellandola quando serve. Sempre lui, al centro dell’attenzione, con le sue dichiarazioni mai banali, le sue frecciate velenose, il suo carisma che ha saputo conquistare tutti gli amici, Moratti in testa, sempre pronto a schierarsi al suo fianco, e costretto i nemici a ingerire tante pillole amare. Peccato solo per quell’addio consumato in fretta e furia fuori dal Bernabeu, dopo la finale Champions: a Milano la gente era pronta ad accoglierlo come si faceva nell’antica Roma coi Cesari trionfanti, ma lui ha preferito chiudere subito la pagina nerazzurra e pensare al Real Madrid.

 Dopo Mourinho, nulla è stato più la stessa cosa: Rafael Benitez provò subito a scacciare la pesantissima ombra del predecessore, ma lo fece nel modo sbagliato scatenando alla lunga un muro contro muro con gli stessi dirigenti; con Leonardo, scelto dopo la risoluzione con lo spagnolo, si instaurò invece un bel feeling, tale da portare l’Inter a sfiorare la rimonta clamorosa sul Milan poi cancellata dal pesante 3-0 subito nel derby. Avrebbe potuto essere lui l’uomo del rilancio, ma un giorno di giugno arrivarono gli sceicchi del Psg e se lo portarono via. Quell’estate fu il prologo di un anno tormentato: si vagliano diverse piste, poi si opterà per Gian Piero Gasperini, scelta mai condivisa fino in fondo e rinnegata dopo poche partite senza vittorie all’attivo; arriva al suo posto Claudio Ranieri, accolto dal presidente nella sua dimora. Il tecnico di San Saba si muove tra alti e bassi con una rosa povera di qualità, che perde a gennaio anche Thiago Motta, rimpiazzato da Palombo, e che dopo una buona serie precipita collezionando magre figure. Il giorno della sconfitta con la Juve è fatale per Ranieri, anche perché il presidente, a Londra, rimane vittima di una folgorazione.

Accade infatti che Moratti si fa conquistare da Andrea Stramaccioni, il tecnico della Primavera che quel giorno vinse la NextGen Series, torneo che partiva tra mille buoni propositi e ora defunto, contro l’Ajax. Moratti viene conquistato e porta proprio Strama in prima squadra. Potrebbe aprirsi una nuova era, con un tecnico giovane intorno al quale costruire un progetto; inizialmente i risultati tardano ad arrivare poi l’Inter colleziona alcuni successi esaltanti, su tutti l’1-3 allo Juventus Stadium. Stramaccioni sembra davvero il tecnico del futuro, ma proprio sul più bello, tra infortuni a pioggia, errori tecnici e di mercato, perde la trebisonda e l’Inter naufraga. Moratti inizialmente non vuole arrendersi né rinnegare la sua scelta personale, ma la resa incondizionata degli ultimi turni è dura da digerire e allora si riparte ancora. Con un tecnico esperto e grintoso come Walter Mazzarri, arrivato dal Napoli. Mazzarri protagonista a suo modo di questa pagina storica, in quanto ultimo dell’era Moratti e primo della nuova targata Erick Thohir. Con l’auspicio che possa anche essere protagonista delle prime soddisfazioni importanti, verso il ritorno sulla Glory Road


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